Veleni e potere, mafia e stato. Colletti bianchi dentro gli apparati delle istituzioni. Incrostazioni ataviche e gravi sospetti. I palazzi della giustizia non si smentiscono ed ecco arrivare l’ennesima bordata contro uno dei poteri dello Stato che viaggia sì in autonomia, ma sospinto da fattori che ne condizionano fin troppo la credibilità e l’azione da terzo potere dello Stato.
“La magistratura è attraversata da lotte intestine molto gravi che ne stanno erodendo, secondo me, in maniera sostanziale l’affidabilità e la tenuta”. A dirlo non è uno qualunque. E’ l’ex procuratore aggiunto della Dna (Direzione nazionale Antimafia), Alberto Cisterna intervistato da Servizio Pubblico. Uno che contava, mica l’usciere del tribunale. Il vice di Piero Grasso, per intenderci.
Di Cisterna, raccontano i marciapiedi che sia uno molto serio. Non era facile a “vendersi”, nè che non fosse ineccepibile sul lavoro. Dicono sia stato incastrato da un picciotto-picciotto. Detto appunto il “nano”. Al secolo Nino Lo Giudice, le cui accuse per corruzione sono state archiviate ieri l’altro dal Gip. Un duro atto d’accusa quello di Cisterna, che fa emergere in tutta la sua forza scontri carsici e un clima torbido che sta interessando in questi giorni la procura di Palermo nonché il Quirinale sulla cosiddetta trattativa Stato-Mafia. Ma in generale tutta la magistratura, e Reggio Calabria, a quanto pare non è estranea.
Al microfono di Sandro Ruotolo il magistrato lancia strali contro l’ex procuratore di Reggio Calabria e attuale procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone che, dice Cisterna, “accusato da Giovanni Falcone nel suo diario e indagato per corruzione dalla procura di Caltanissetta da un pentito come Siino, ha fatto una carriera brillante. Da Reggio è stato promosso a Roma. Io invece prendo atto di aver finito la carriera” afferma il magistrato il quale non risparmia critiche nemmeno all’ex capo della Mobile di Reggio Calabria – ora di Roma – Renato Cortese (il poliziotto che arrestò Bernardo Provenzano, ndr), responsabile di aver inviato in copia atti del suo procedimento coperto da segreto, al Quirinale.
Destinatario del plico, Loris D’Ambrosio, consigliere giuridico del capo dello Stato che intratteneva i rapporti con l’ex vicepresidente del Csm Nicola Mancino sulla presunta Trattativa Stato-Mafia. D’Ambrosio è morto recentemente per un infarto.
Proprio oggi, la giornata della puntata (6 dicembre) la Cassazione ha bocciato il ricorso di Cisterna contro l’ordinanza della sezione disciplinare del Csm che, lo scorso 17 maggio, aveva disposto il trasferimento del magistrato presso il Tribunale di Tivoli con funzioni di giudice. “Per forti indizi di colpevolezza”.
Sull’archiviazione di qualche giorno fa per corruzioni in atti giudiziari, Cisterna nell’intervista [integrale e testuale] spiega e prosegue: “La vicenda è stata archiviata da pochissime ore. E’ una vicenda che non sarebbe dovuta sorgere perché mancava la notizia di reato”. E che c’entra il Quirinale con le sue vicende?, domanda il giornalista.
“Mah, il Quirinale c’entra…. Io lo vorrei chiedere a chi lo ha messo in mezzo, il Quirinale! Vorrei chiedere, in particolare alla Procura e alla squadra mobile di Reggio Calabria, se sono stati incaricati di consegnare informative di reato coperte da segreto al dottor Loris D’Ambrosio al Quirinale, il consigliere giuridico del presidente della Repubblica”. D’Ambrosio era colui “che teneva i contatti – ricorda il giornalista – con l’ex presidente del Senato ed ex vicepresidente del Csm Nicola Mancino per quanto riguarda la trattativa Stato-Mafia…”
E [anche] i contatti – aggiunge Cisterna – con la procura nazionale Antimafia e la procura nazionale della Cassazione. Quello che so di mio è che ho trovato in atti la lettera di trasmissione da parte del capo della squadra mobile di Reggio Calabria, attuale capo della mobile di Roma, dr. [Renato] Cortese, una lettera di trasmissione di un plico riservato a varie autorità, legittimamente investite, della questione, ma mandato in copia anche al Quirinale”.
Però, obietta Ruotolo, “il capo dello Stato è anche il presidente del Csm”. Spiega Cisterna: “Non dico ci sia stata una invasione di campo, ma si è creato un circuito informativo improprio a mio avviso, perché la presidenza della Repubblica se ha bisogno di accedere agli atti lo fa attraverso i documenti ricevuti dal Csm. Non c’era alcuna ragione di trasmettere personalmente”.
“Guardi – prosegue il magistrato – io la questione la faccio con chi li ha mandati gli atti, non con chi li ha ricevuti, che ne avrà fatto l’uso che ha ritenuto proprio. Quello che contesto e che trovo straordinariamente anomalo e che [quote style=”boxed”]”Le informative nei miei confronti contengono dati falsi”[/quote] si mandino atti e si instaurino contatti fuori da un circuito istituzionale e si divulghino informative unilaterali, perché queste informative contengono dati falsi”. Il Csm ha deciso, chiede l’inviato di Santoro, “pur non in presenza delle conclusioni del procedimento penale”.
“Il Csm, risponde Cisterna, ha subito detto che ‘della corruzione non c’era traccia, tuttavia – è la contestazione del Csm raccontata dal magistrato – Cisterna ha intrattenuto rapporti con un soggetto (Luciano Lo Giudice, fratello di Nino, l’accusatore) che quando ha conosciuto e nei primi contatti era assolutamente incensurato, ma che sei anni dopo, si scopre poter essere un soggetto appartenente alla criminalità organizzata”.
Perché quello che le è successo [s’incrocia] alla trattativa che si è svolta con la procura nazionale antimafia per la resa di Bernardo Provenzano?, domanda Ruotolo:
“Perché io non avevo nessun interesse né necessità di conoscere questo soggetto, ripeto incensurato, se non per il fatto che si era detto disponibile a fornire informazioni per la cattura di un grossissimo latitante, il più importante, Pasquale Condello; io individuai nell’ex capo della sezione Ros di Reggio Calabria, passato al Sismi come responsabile della sezione criminalità organizzata, un uomo utile di riferimento.
In quel momento il mio ufficio aveva in corso altri contatti con il Sismi e vi era anche un soggetto presentatosi in Procura nazionale come emissario di Bernardo Provenzano che ne voleva trattare la costituzione presso l’ufficio di procura nazionale. Se si fosse parlato di Lo Giudice per la cattura di Pasquale Condello, io avrei dovuto, a tutela del mio onore, parlare anche di ciò che stava succedendo in quel frangente per altre questioni, perché non c’era soltanto Condello ma Provenzano, vicende legate a partite di esplosivo che erano state trattate dal Sismi e fatte rinvenire in Calabria, traffici di sostanze stupefacenti nel porto di Livorno”.
Insomma, “c’erano più questioni”. “Ma cos’è una guerra all’interno della magistratura?”, chiede l’inviato: “La magistratura – ammette sconfortato Cisterna – è attraversata da lotte intestine molto gravi che ne stanno erodendo, secondo me, in maniera sostanziale l’affidabilità e la tenuta”.“La sua carriera è finita?”, domanda Servizio Pubblico.
Cisterna: “La mia carriera è finita. Io ne ho preso atto. Certo, certo, se guardo per esempio ad altre carriere e ad altre vicende, in particolare quella del dottor Pignatone [ex procuratore di Reggio ora procuratore a Roma, ndr], che accusato nel suo diario da Giovanni Falcone di essere in qualche modo un soggetto che per conto di Giammanco ne osservava le iniziative.
Se penso sempre al dottor Pignatone indagato per corruzione dalla procura di Caltanissetta: non certo accusato da Nino detto “il Nano”, come nel mio caso, ma accusato da collabotarori di Giustizia come Siino [Angelo] e ne è venuto fuori brillantemente perché si crede, giustamente, innocente, come lo sono io. Pignatone è stato procuratore a Reggio poi è andato Roma e una piccola speranzella, nel fondo del cuore, la conservo”.
Molto preparato, Cisterna a Cosenza nel febbraio 2012 diceva questo in un incontro sulla psicologia della mafia. “Il contrasto alla mafia può avere successo a patto di valutare un punto essenziale: la politica in questa regione non può limitare la propria azione a sponsorizzare convegni a supporto dell’azione della magistratura e delle forze di polizia”.
“Dovrebbe essere esattamente il contrario, e cioè l’azione repressiva dello Stato dovrebbe operare a supporto delle azioni di legalità che la politica svolge ogni giorno”. La percezione, per Cisterna, è che la politica “abbia avuto l’interesse” a delegare la “pulizia sociale” della Calabria soltanto allo Stato in attesa che gli venga consegnata decontaminata dai poteri criminali”.
“E’ semmai l’opposto”, spiega il sostituto della Dna, che infine giudica la Stazione unica appaltante della Regione, una norma “seria” e un “modello” di riferimento. “In Calabria – concludeva – serve ora una norma anticorruzione con cui realizzare un’anagrafe patrimoniale” che renda trasparente i redditi della classe politica e burocratica. Poiché la “commistione tra politica e malaffare ha prodotto danni incalcolabili all’economia della regione”. Veleni e potere, politica, giustizia e legalità.
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