La faida del Reventino tra i clan Scalise e Mezzatesta. Azzerati i vertici. L’inchiesta

Carlomagno
La faida del Reventino tra i clan Scalise e Mezzatesta. L'inchiesta
I monti del Reventino

Nella mattinata odierna i Carabinieri del Comando Provinciale di Catanzaro hanno dato esecuzione ad un provvedimento di fermo di indiziato di delitto emesso dalla Procura distrettuale di Catanzaro, diretta dal Procuratore dott. Nicola Gratteri, nei confronti di 12 soggetti, ritenuti tutti responsabili di associazione di tipo mafioso e, a vario titolo, dei delitti di estorsione, sequestro di persona, violenza privata, danneggiamento a seguito di incendio, detenzione illegale di armi, aggravati dal metodo e dalle finalità mafiose. I destinatari della misura sono:

  1. SCALISE Pino, classe 1958;
  2. SCALISE Luciano, cl. 78;
  3. SCALZO Andrea, cl. 81;
  4. ROTELLA Angelo, cl. 83;
  5. DOMANICO Vincenzo Mario, 76;
  6. MINGOIA Salvatore Domenico, cl. 65;
  7. BONACCI Cleo, cl. 62;
  8. TOMAINO Eugenio, cl. 64;
  9. ROPERTI Giuliano, cl. 69;
  10. TUTUIANU Ionela, 77;
  11. MEZZATESTA Giovanni, cl. 76;
  12. MEZZATESTA Livio, cl. 79.

L’indagine, condotta dal Nucleo investigativo dei Carabinieri di Catanzaro e coordinata dal Procuratore, Nicola Gratteri, e dal Sostituto procuratore, Elio Romano, è stata sviluppata nell’ambito degli approfondimenti investigativi inerenti gli omicidi dell’avvocato Francesco Pagliuso, classe ‘73, e di Gregorio Mezzatesta, classe ’64, perpetrati, entrambi con l’aggravante delle modalità mafiose, rispettivamente, a Lamezia Terme, la sera del 9 agosto 2016, e a Catanzaro, la mattina del 24 giugno 2017. Per entrambi gli omicidi è stato ritenuto gravemente indiziato Marco Gallo, classe ’85, già tratto in arresto nell’ambito di un diverso procedimento penale.

L’attività di indagine ha consentito di delineare con chiarezza gli assetti storici ed attuali, nonché gli interessi criminali di due distinte e contrapposte cosche, quella degli “Scalise” e quella dei “Mezzatesta”, derivanti dalla scissione del Gruppo storico della Montagna, nell’area catanzarese del Reventino compresa tra i comuni di Soveria Mannelli, Decollatura, Platania, Serrastretta e territori limitrofi del catanzarese.

In particolare, le risultanze investigative individuano nel 2001, con l’attentato subito da Pino Scalise, il momento dopo il quale il Gruppo storico della Montagna si comincia a scindere in quelle che diventeranno due distinte e contrapposte consorterie.

A fronte di una prima fase caratterizzata da una operatività sottoposta al controllo e alla supervisione delle più influenti cosche lametine dei “Giampà” e dei “IannazzoCannizzaroDaponte”, dal 2013, le compagini degli Scalise e dei Mezzatesta cominciano ad operare con maggiore autonomia.

Gli indizi gravi, precisi e concordanti raccolti nel corso della prolungata azione investigativa hanno dimostrato come le due predette organizzazioni criminali, dopo le operazioni che hanno interessato, nel corso di questi ultimi anni, l’area territoriale lametina (In particolare le operazioni “Medusa”, “Perseo”, “Pegaso”, “Chimera”, “Andromeda”, “Dionisio” e “Crisalide”), abbiano continuato a commettere gravissimi reati, alimentando una crescente e violenta contrapposizione reciproca tesa a conseguire, da parte di ciascuno dei due gruppi, l’esclusivo controllo sul territorio di riferimento.

In relazione alla cosca “Scalise”, con l’odierna misura viene contestato il reato di associazione mafiosa a Pino Scalise (classe ‘58), Luciano Scalise (cl. ‘78), Vincenzo Mario Domanico (cl. 76), Andrea Scalzo (cl. ‘81), Angelo Rotella (cl. ‘83), Salvatore Domenico Mingoia (cl. ‘65) e Cleo Bonacci (cl. ‘62).

Figure di spicco sono Pino Scalise e Luciano Scalise, ai quali si attribuisce un ruolo verticistico in quanto titolari del potere decisionale in ordine alla strategia criminale da perseguire, anche con riferimento alle azioni violente rientranti nel programma criminoso collettivo della cosca.

Il ruolo di partecipe viene attribuito a tutti i restanti soggetti sopra indicati, affiliati alla cosca Scalise con consapevolezza di scopo e di vincoli, pienamente inseriti nelle dinamiche delittuose, tutti impegnati a diverso titolo nell’affermazione della consorteria sul territorio.

Nell’ambito della indicata contrapposizione vanno certamente inquadrati i fatti omicidiari che, a partire dal 2013, hanno coinvolto esponenti di entrambe le fazioni, in una vera e propria faida ancora oggi in atto. In particolare, si richiamano il duplice omicidio di Francesco Iannazzo  (cl. ‘84) e Giovanni Vescio (cl. ‘77), perpetrato a Decollatura il 19 gennaio 2013, e gli omicidi di Daniele Scalise (cl. ‘85), a Soveria Mannelli il 28 giugno 2014, di Luigi Domenico Aiello (cl. 56), a Soveria Mannelli il 21 dicembre 2014, dell’avvocato Francesco Pagliuso, a Lamezia Terme il 9 agosto 2016, e di Gregorio Mezzatesta (cl. ‘64), in Catanzaro il 24 giugno 2017.

Con riguardo alla cosca “Mezzatesta”, viene contestato il reato di associazione mafiosa a Giovanni Mezzatesta (classe ‘76), Livio Mezzatesta (cl. ‘79), Eugenio Tomaino (cl. 64), Giuliano Roperti (cl. 69), Ionela Tutuianu (cl. 77). A Giuliano Roperti (cl. 69), Giovanni Mezzatesta (cl. 76) e Livio Mezzatesta (cl. 79) viene attribuito il ruolo di “rappresentanti” della cosca aventi l’autorità di organizzare i fini e gli scopi perseguiti, pur sempre sotto l’egida di Domenico Mezzatesta e Giovanni Mezzatesta (cl. ‘74), in atto detenuti e considerati i capi del sodalizio.

Il ruolo di partecipe è contestato a Ionela Tutuianu (classe ‘77), moglie del capo cosca Domenico Mezzatesta, esercitando il compito fondamentale di mantenere vivi e “operativi” i rapporti tra gli affiliati detenuti e quelli liberi, rendendosi veicolo di notizie e “imbasciate” da e per l’esterno delle case circondariali. Quale ulteriore affiliato alla cosca Mezzatesta viene indicato Eugenio Tomaino (cl. ‘64), il quale nell’ambito del Gruppo storico della Montagna aveva ricoperto una posizione di vertice.

La vicenda riguardante l’avvocato Francesco Pagliuso

La capacità criminale e la tracotanza raggiunte dalla cosca Scalise nel territorio di riferimento sono testimoniate dalla vicenda riguardante l’avvocato Francesco Pagliuso, del foro di Lamezia Terme, che, nella seconda metà del 2012, era difensore di Daniele Scalise, figlio del capo cosca Pino Scalise, per un procedimento penale presso il Tribunale di Cosenza.

Gli elementi investigativi acquisiti nel corso delle indagini, compendiati nell’odierno provvedimento di fermo, hanno documentato come Pagliuso, accusato di un minor impegno professionale e di aver commesso degli errori nella linea difensiva a tutela dello Daniele Scalise, venisse privato della libertà personale, incappucciato e condotto con la forza da Lamezia Terme in un bosco della zona montana del Reventino, dove veniva costretto a stare, legato ed impossibilitato a muoversi liberamente, dinnanzi ad una buca scavata nel terreno con un mezzo meccanico. Il tutto al fine di piegare l’avvocato alla volontà della cosca, specie con riferimento alle determinazioni e al comportamento da tenere nel procedimento a carico di Daniele Scalise.

Il sequestro di persona e la violenza privata perpetrati con l’aggravante mafiosa in danno dell’avvocato Pagliuso vengono contestati con il fermo odierno al solo Pino Scalise, tenuto conto che gli altri complici sono nel frattempo deceduti a seguito di azioni omicidiarie. Lo stesso Pino Scalise, in un momento successivo, non esiterà a reiterare ulteriori minacce raggiungendo l’Avvocato Pagliuso direttamente all’interno del suo studio di Lamezia Terme.

L’attività estorsiva della cosca Scalise 

La piena operatività della cosca Scalise nel settore delle estorsioni su tutto il territorio di riferimento viene messa in luce con chiarezza dall’attentato incendiario che Luciano Scalise (cl. ‘78) e Angelo Rotella (cl. ‘83) mettono a segno in danno di un imprenditore di Decollatura operante nel settore del commercio del legname.

Nell’agosto del 2017, i due esponenti della cosca Scalise, al fine di favorire un’altra società concorrente nel medesimo settore e far desistere l’imprenditore dalla sua attività economica, ne davano alle fiamme una macchina agricola e il capannone provocando un danno superiore ai 150.000 euro.