Glicine, Dda: “Il boss Megna mandante dell’omicidio Sarcone”

Carlomagno

Ai Lettori

Secondo Piano News non riceve finanziamenti pubblici come i grandi e piccoli media mainstream sovvenzionati a pioggia dallo Stato. Pertanto chiediamo ai nostri lettori un contributo libero che può permetterci di continuare a offrire una informazione vera, libera e corretta.

SOSTIENI L'INFORMAZIONE INDIPENDENTE
 
SEGUICI SUI SOCIAL
Per ricevere gli aggiornamenti lascia un like sulla nuova pagina Fb. Iscriviti anche al Gruppo "Un Unico Copione Un'Unica Regia". Seguici pure su TELEGRAM 1 (La Verità Rende Liberi); e TELEGRAM 2  (Dino Granata), come su Twitter "X" SPN nonché su X (Dino Granata)

Una delle 34 persone arrestate nell’inchiesta della Dda di Catanzaro è il boss Domenico Megna, detto Mico, di 74 anni, considerato a capo dell’omonima cosca di Papanice, accusato di essere il mandante dell’omicidio di Salvatore Sarcone, ucciso da killer al momento rimasti ignoti, con due colpi di pistola alla testa, il 9 settembre 2014. Il delitto avvenne all’indomani della scarcerazione di Megna.

Una volta uscito dal carcere, infatti, il vecchio boss avrebbe agito per ristabilire gli equilibri, “alterati proprio dalla presenza del Sarcone – scrive nell’ordinanza il gip Battaglia – che ne contrastava la leadership e che non voleva piegarsi e rientrare nei ranghi, ritenendo di avere acquisito una dignità ndranghetistica superiore al suo rivale”.

A fare il nome di Domenico Megna sono stati alcuni collaboratori di giustizia come Domenico Iaquinta e Francesco Oliverio. Secondo quest’ultimo, “Sarcone era entrato in contrasto con il Megna al punto che i due avevano avuto un violento alterco, avvenuto un mese prima della scomparsa del primo, durante il quale il Sarcone aveva pesantemente insultato il vecchio capo, definendolo pecoraro”.

Ecco quindi che, sempre secondo il collaboratore, l’omicidio di Sarcone era maturato in questo contesto di rottura ed il Sarcone sarebbe stato venduto dalla famiglia Barilari che lo avrebbe “consegnato al Megna, ottenendo in cambio un vero e proprio riconoscimento criminale”. Il pentito Iaquinta, invece, ha riferito “di avere assistito in prima persona al mandato omicidiario che il Megna aveva impartito”.