Sedici ambienti 2 metri per 4 con una finestrella a 25 centimetri dal tetto. Mura scrostate, il wc a vista. La cella numero 5 la chiamavano la “stanza liscia”, era quella senza suppellettili, destinata a chi si temeva potesse compiere gesti autolesionisti. E’ la Zona blu, la sezione isolamento del carcere di Trapani, dove gli occhi delle telecamere di sorveglianza non sempre arrivano: è lì che per anni, secondo la Procura, un gruppo di agenti penitenziari ha torturato, umiliato, picchiato i detenuti più problematici, persone con problemi psichici, extracomunitari… soggetti fragili insomma.
Gli inquirenti, che parlano di “trattamento inumano e contrario alla dignità delle persone”, hanno chiesto e ottenuto i domiciliari per 11 guardie carcerarie e la misura interdittiva per altre 14. Che la “zona blu” fosse l’inferno dell’istituto di pena trapanese si sa da tempo: lo hanno denunciato i detenuti, l’hanno messo nero su bianco le associazioni.
Denunce generiche fino a quando, il 17 settembre 2012, un carcerato fa un esposto, raccontando di essere stato punito, dopo una protesta, portato nella sezione isolamento e aggredito a calci, pugni e sputi. E’ sempre lui a riferire di aver sentito un altro detenuto, nella cella accanto, urlare. Comincia così l’indagine coordinata dalla Procura di Trapani, che ha svelato aggressioni, umiliazioni, perquisizioni illegali che per anni hanno visto protagoniste un gruppo di guardie e vittime i detenuti. Carcerati fatti denudare e costretti a camminare senza vestiti lungo i corridoi, sbeffeggiati con commenti sui genitali, percosse, lanci di acqua e urina nelle celle. Un racconto drammatico quello venuto fuori dall’inchiesta. Per anni le videocamere piazzate dai pm hanno ripreso gli abusi.
Le intercettazioni hanno fatto il resto. “L’avrei massacrato compà, come ho fatto con gli altri” dice uno degli agenti arrestati ascoltato dalle cimici dopo l’aggressione a un collega da parte di un detenuto. “Le secchiate d’acqua…fa caldo, un piacere gli facciamo”, commenta un altro.
Tra le immagini più dure quella di un extracomunitario nudo nei corridoi e di un altro carcerato perquisito con le braccia bloccate dietro la schiena. A una delle vittime sarebbe stata data anche una sigaretta con del calmante. Ovviamente nelle relazioni di servizio delle violenze non c’era una riga: perchè gli agenti fornivano ai superiori versioni, false, del tutto autoassolutorie in cui si sottolineavano solo le condotte violente dei carcerati. Gli agenti ce l’avevano anche con i medici della casa circondariale.
“Se si mettono in mezzo sminchi pure i dottori”, dicevano, irritati perchè i sanitari si occupavano della salute dei detenuti. Uno degli arrestati, poi, proponeva la creazione di una “squadretta” di 6 persone. “Appena succede qualcosa saliamo nel reparto”…minacciava. “Ci butto un secchio d’acqua? E’ pisciazza immischiata con acqua”, spiegava uno degli agenti. L’urina veniva lanciata nelle celle dopo aver tolto la corrente per cogliere di sorpresa i carcerati. Le vittime hanno confermato tutto. E gli inquirenti le hanno ritenute credibili. “Le persone offese manifestano un atteggiamento di apprezzabile equilibrio e non hanno risentimenti”, si legge nell’ordinanza di custodia cautelare.
Associazione Antigone: ‘Fare piena chiarezza’
“Il reato di tortura ha rotto il muro di omertà”. Così il presidente dell’associazione Antigone, Patrizio Gonnella commenta gli arresti degli agenti penitenziari a Trapani.
“Quanto emerso in queste ore relativamente a quello che è accaduto nel carcere di Trapani, dove 46 persone sono indagate per vari reati, tra cui quello di tortura, segnala ancora una volta quanto questo reato sia fondamentale, per diverse ragioni – dice Gonnella – Da una parte per perseguire i responsabili di questo crimine. Dall’altra, nel far sentire il supporto dello Stato alle persone che subiscono torture o violenze in carcere che oggi, molto più di prima, tendono a denunciare questi episodi. Per ultimo, anche per rompere il muro di omertà che troppo spesso in casi simili si creava in passato”. “Come già accaduto in altri casi – aggiunge – l’indagine, scattata dopo alcune denunce effettuate dalle persone detenute, è stata condotta dal nucleo investigativo della Polizia penitenziaria, nel caso specifico quello regionale di Palermo, coordinato dal nucleo investigativo centrale”.
“Ora ci auguriamo che si faccia piena chiarezza su quanto accaduto, riconoscendo in sede di indagini e processuale le eventuali responsabilità. Non possiamo però che esprimere soddisfazione nel sapere che all’interno dell’Amministrazione penitenziaria ci siano professionalità in grado di far respirare le persone detenute, riconoscendo i loro inalienabili diritti” conclude Gonnella.