3 Novembre 2024

Processo Marlane: "Tutti assolti". L'ira dei parenti delle vittime

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L'aula giudiziaria del processo Marlane
L’aula giudiziaria del processo Marlane

La storia si ripete. Dopo la prescrizione a novembre dei vertici di “Eternit”, la società per decenni guidata dal magnate svizzero Stephan Schmidheiny (condannato a 18 anni è poi prosciolto perché il reato è stato prescritto), il tribunale di Paola, in provincia di Cosenza, ha assolto gli ex responsabili e dirigenti della Marlane di Praia a Mare, accusati, a vario titolo, di omicidio colposo per la morte di lavoratori dello stabilimento e di disastro ambientale.

Tra gli imputati anche Pietro Marzotto, titolare dell’industria tessile che, secondo ambientalisti e familiari, avrebbe mietuto negli anni decine e decine di morti per tumore. La Procura aveva chiesto condanne da 3 a 10 anni. Perplesso uno dei legali di parte civile, Rodolfo Ambrosio: “Non mi aspettavo una assoluzione, mi sembrava abbastanza palese che le responsabilità ci fossero e fossero chiare”.

La formula di rito nel processo di primo grado è stata: “Il fatto non sussiste” e per “insufficienza di prove”. Erano undici, tra dirigenti e responsabili dell’azienda di proprietà del Gruppo Marzotto, gli indagati a vario titolo per omicidio colposo, lesioni gravissime, omissione dolosa di cautele sul lavoro e disastro ambientale.

Carlo Lomonaco, responsabile del reparto tintoria, dirigente dello stabilimento ed ex sindaco della cittadina, per lui la procura aveva chiesto dieci anni di reclusione. Silvano Storer, amministratore delegato; Antonio Favrin, amministratore delegato; Jean De Jaegher, amministratore delegato;  Attilio Rausse, responsabile dello stabilimento.

E poi ancora Lorenzo Bosetti, vicepresidente esecutivo della società ed ex sindaco di Valdagno (VI); Vincenzo Benincasa, responsabile dell’impianto; Salvatore Cristallino, responsabile del reparto tintoria; Giuseppe Ferrari, responsabile dello stabilimento; Lamberto Priori, amministratore delegato. Infine, il patron dell’impero della stoffa: Pietro Marzotto. Per lui i pubblici ministeri, Maria Camodeca e Linda Gambassi, avevano chiesto sei anni di reclusione.


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