Avevano creato su Facebook una miriade di account per poter vendere merce contraffatta, ma sono stati scoperti e denunciati dalle Fiamme gialle del Comando provinciale di Ragusa, che stamane ha fatto scattare un’operazione denominata “FAKE-book”.
I finanzieri siciliani hanno individuato oltre cinquanta account privati operanti in Sicilia, che attraverso il noto social ponevano in vendita capi d’abbigliamento, accessori e orologi, riportanti marchi protetti da diritti di privativa industriale, palesemente contraffatti.
L’attività, svolta dai finanzieri della Compagnia di Vittoria, ha permesso, ad oggi, di denunciare all’Autorità Giudiziaria 4 persone residenti tra i comuni di Acate, Vittoria e Comiso, tutti amministratori di “punti vendita virtuali”, nonché di sequestrare centinaia di capi contraffatti (borse, completini di calcio e basket di famose squadre sportive sia nazionali che internazionali, portafogli, cinture e felpe).
Tutti i restanti soggetti, individuati in quanto titolari di account privati per la vendita on-line al pubblico, residenti fuori provincia, sono stati segnalati ai reparti del Corpo competenti per territorio per i successivi approfondimenti investigativi.
Un caso particolare, ha riguardato uno dei soggetti denunciati che, dall’analisi effettuata sul proprio smartphone, ha effettuato in poco meno di un anno vendite in nero per un giro d’affari di circa 70 mila euro e che, a breve, saranno oggetto di contestazione ai fini fiscali.
Negli ultimi anni, il fenomeno della contraffazione via web ha registrato un notevole incremento, grazie anche a determinati fattori quali la possibilità di celare la vera identità con nicknames attraverso cui si ha maggiore capacità di inganno del cliente, tenuto conto che si può ricorrere ad immagini dei prodotti griffati tratte da cataloghi ufficiali, ben differenti poi dalla realtà.
La relativa sicurezza delle transazioni illecite, sia sul piano economico, che su quello distributivo-logistico, in quanto il controllo sul territorio può essere facilmente eluso dalle piccole spedizioni che interessano i consumatori finali, rendendo difficile l’individuazione dei canali di produzione e stoccaggio della merce illegale.
Tenendo conto di tali difficoltà, l’attività dei finanzieri è stata strutturata con una prima fase investigativa volta all’individuazione dell’amministratore dell’account online, tramite l’utilizzo delle numerose banche dati in uso al corpo, ma anche grazie alle innumerevoli informazioni desumibili dalle foto “postate” sui social network e dai relativi commenti.
Una seconda fase con l’esecuzione, su delega della Procura ragusana, di specifici provvedimenti di perquisizione presso i domicili degli indagati. Ciò ha permesso il sequestro, oltre che della merce contraffatta, anche di computers e smartphone utilizzati per l’attività illecita e utili alla ricostruzione del relativo giro d’affari.
I capi d’abbigliamento riportanti marchi registrati possono essere venduti esclusivamente da negozi specializzati in possesso di autorizzazioni rilasciate dalle rispettive case madri. Pertanto, anche gli “e-shopper” che acquistano merce contraffatta rischiano una sanzione da 100 euro fino a 7.000 euro. La produzione sommersa, che alimenta il mercato del falso, danneggia in primis il “made in Italy”, frena l’innovazione e la creatività nei vari settori produttivi e favorisce la concorrenza sleale e la diffusione dell’evasione fiscale.