Dopo il rinvio a giudizio dell’ex governatore della Regione Puglia, Vendola, un altro ex governatore pugliese, Raffaele Fitto, finisce ancora nelle maglie della giustizia barese per questioni riguardanti l’ex ruolo di governo della Regione. Per l’attuale europarlamentare, il sostituto procuratore generale presso la Corte di Appello di Bari, Donato Ceglie, ha chiesto per l’ex ministro Raffaele Fitto la condanna a 4 anni e 10 mesi di reclusione per presunto peculato, accusa configurata nell’ambito del “processo Fiorita”, per fatti relativi a quando era presidente della regione Puglia. In primo grado Fitto era stato assolto per il reato contestato oggi, ma condannato per altri reati.
In una precedente udienza del marzo scorso, lo stesso pg Donato Ceglie aveva chiesto il non luogo a procedere per tutti i reati contestati all’ex ministro per intervenuta prescrizione e che il reato prescritto di abuso d’ufficio, fosse cambiato nell’unico reato non ancora andato in prescrizione: il peculato. Alla richiesta del pg deciderà la Corte d’Appello il prossimo 29 settembre dovrà esprimersi nel merito della richiesta, ossia se è sussistente il reato di peculato rispetto a quello di abuso d’ufficio (prescritto) per cui era stato assolto in primo grado.
Nel processo di primo grado, nel febbraio 2013, il Tribunale di Bari aveva condannato Fitto a 4 anni di reclusione, riconoscendolo colpevole dei reati di corruzione, illecito finanziamento ai partiti e un episodio di abuso d’ufficio e lo aveva però assolto dai reati di peculato e da un altro abuso d’ufficio. La Procura di Bari aveva poi impugnato la sentenza chiedendo che Raffaele Fitto fosse condannato anche per il reato di peculato. Il difensore di Fitto, l’avvocato Francesco Paolo Sisto, si era opposto alla precisazione fatta dalla Procura generale perché “inammissibile e tardiva”.
Al centro del processo c’è l’appalto da 198 milioni di euro per la gestione di 11 Residenze sanitarie assistite, vinto dalla società dell’imprenditore romano Giampaolo Angelucci (chiesto il non luogo a procedere per prescrizione rispetto ai 3 anni e 6 mesi del primo grado) e la presunta tangente da 500 mila euro che Angelucci avrebbe elargito sotto forma di illecito finanziamento al movimento di Fitto “La Puglia Prima di Tutto”.
Nella requisitoria, l’accusa aveva chiesto inoltre la conferma della condanna per 10 dei 23 imputati nel processo. Giampaolo Angelucci è un grosso imprenditore laziale che spazia dalla sanità all’editoria. Era stato anche editore di Libero e del Riformista. Ritenuto il “Re” delle cliniche nella capitale, l’imprenditore oltre al coinvolgimento nel “processo Fiorita” era stato arrestato nel 2009 su disposizione della procura di Velletri per il presunto reato di truffa ai danni del servizio sanitario locale.