Un anno fa nasceva il governo di Giuseppe Conte. Un esecutivo che trovava la sua ragion d’essere in un inedito contratto a doppia firma Lega e Movimento 5 stelle. In tutto, una squadra di 5 donne e 13 uomini. Si era ad un passo dal governo tecnico, ma poi l’accordo responsabile tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio hanno portato al governo gialloverde, con la sinistra e il resto del centrodestra che rosicavano evocando la catastrofe.
Tante cose fatte e tante ancora da fare insieme anche se la sintonia iniziale sembra essere scemata dalla recente campagna elettorale in cui le tensioni sono state quotidiane, con Di Maio che ha dato l’impressione di rompere con attacchi contro l’alleato di governo attraverso una discutibile propaganda con temi di sinistra che gli elettori non hanno premiato né alle elezioni politiche né alle europee, come si è visto.
“Provocazioni elettorali per recuperare consenso”, dicevano ambienti leghisti. Una campagna che ha disorientato gli elettori Cinquestelle e che è culminata, appunto, con una cocente sconfitta dei primi a vantaggio di Salvini che ha portato a casa il 34% dei voti e il primato di essere il primo partito italiano, invertendo i rapporti di forza nel governo che – nonostante lo scalpitare di settori minoritari -, resta comunque supportato dalla stessa maggioranza uscita dalle urne a marzo 2018: (32.5% il M5s, 17.5 la Lega). I numeri in parlamento restano insomma quelli.
Nei giorni post-voto in molti si sono chiesti se il governo resista oppure no. Ad avviso dei due vicepremier, ma non solo, si va invece avanti per altri quattro anni, senza le “ombre” della crisi che si sussurra negli ambienti politici degli avversari, in primis il Pd, poi FI e FdI, che evocano la caduta dell’esecutivo ad ogni dichiarazione.
Dopo 365 giorni, premier e ministri (senza Paolo Savona che a marzo si è dimesso da ministro agli Affari europei, passando alla Consob) tornano al ricevimento dai Giardini del Quirinale per festeggiare la festa della Repubblica.
Un anno denso di iniziative ma anche di contrasti. A fine settembre l’accordo nella maggioranza sullo sforamento del deficit al 2,4% e la “manovra del popolo” rivendicata da Luigi Di Maio, affacciato al balcone di Palazzo Chigi, al grido ‘Aboliremo la povertà”, con riferimento all’introduzione del Reddito di cittadinanza, poi effettivamente varato e che sta dando respiro a milioni di persone. Ma anche quota 100 sulle pensioni, il blocco dell’immigrazione e le politiche sulla sicurezza, malviste dalla Chiesa e dalla Sinistra pro-migranti (e da minoranze interne al M5s, Fico in primis).
Contrasti sono in essere sul Tav, tema di divisione tra il popolo del sì (Lega) e quello del no (M5s), passando per il gasdotto a cui Conte ha dato il via libera con la rivolta dei 5 stelle (impianto osteggiato dai no Tap, rimasti orfani del sostegno del Movimento). Ma sono contrasti che non scalfiscono il governo, capace di trovare ogni volta il giusto compromesso.
Il Treno ad alta velocità si farà, dice Salvini, che ricorda come l’opera sia prevista dal contratto di governo. Poi ci sono le grandi opere su cui pare vi sia un accordo per rilanciare gli investimenti. Inoltre la Flat tax al 15% (cavallo di battaglia leghista), su cui il M5s si dice d’accordo alla riduzione delle tasse a imprese e famiglie. “Ci sono 30 miliardi”, fa sapere Salvini, che derivano da tagli alla spesa improduttiva e da una nuova pace fiscale con Equitalia, capace di dare ossigeno a imprese e famiglie.
Sulle dimissioni del sottosegretario della Lega indagato per corruzione, Di Maio non transige e ne fa il tarlo della campagna delle europee. Salvini non è d’accordo ma accetta il passo indietro dell’esponente leghista, mentre prende tutti in contropiede, proprio per evitare ulteriori polemiche, avallando l’addio del viceministro ai Trasporti, Rixi, condannato per le “spese pazze”: viceministro che annuncia di rimette il mandato proprio al leader della Lega, poche ore dopo la sentenza.
Il ministro del Lavoro deve digerire le critiche interne dopo il flop elettorale e chiama al voto gli iscritti che lo hanno nuovamente acclamato capo politico del movimento con l’80% dei voti. Un anno di governo in cui molte cose sono cambiate e che, propaganda a parte, ci sono ancora 4 anni per cambiare radicalmente un paese lasciato dai predecessori sul lastrico e stremato dalle folli politiche di Bruxelles che dell’austerità ne ha fatto la politica principale. Ma in molte nazioni europee milioni di cittadini hanno detto no a questa direzione votando in massa i partiti euroscettici.