La polizia federale brasiliana ha arrestato a San Paolo il vicepresidente di Facebook per l’America Latina, Diego Dzodan. Le forze dell’ordine hanno agito su mandato di un giudice di Lagarto, nello Stato di Sergipe (nord-est). Il motivo è stata la mancata collaborazione di Facebook Brasile in indagini della locale procura in merito alla posizione di due criminali sotto processo.
In sostanza, si è verificata una situazione analoga a quella registrata due settimane fa negli Usa, quando l’Fbi aveva chiesto l’accesso ai dati sugli iPhone dei responsabili della strage di San Bernardino, poi negata dal Ceo di Apple, Tim Cook. Per questo, Cook, potrebbe subire la stessa sorte di Diego Dzodan.
L’arresto del vice presidente di Facebook per l’America Latina è motivato per “ripetuta non osservanza degli ordini del tribunale” di condividere dei dati richiesti nell’ambito di un’indagine sul traffico di stupefacenti, secondo quanto reso noto dalla polizia. Le indagini si tengono a porte chiuse, senza l’assistenza del pubblico; secondo la stampa brasiliana i dati in questione sarebbero i dati anagrafici di due titolari di account di WhatsApp, piattaforma di messaggistica acquistata da Facebook per l’astronomica cifra di 19 miliardi di dollari un anno e mezzo fa.
Immediata la reazione del colosso di Palo Alto. “Siamo amareggiati – commenta un portavoce di Facebook – si tratta di una decisione estrema e non proporzionata. Siamo sempre stati disponibili e continueremo ad esserlo a collaborare con le autorità. Siamo rammaricati della scelta di scortare un dirigente Facebook presso una stazione di Polizia in relazione al caso che coinvolge WhatsApp, che opera separatamente da Facebook”, aggiunge il portavoce.
“Non possiamo fornire informazioni che non abbiamo – è la posizione ufficiale di WhatsaApp – e abbiamo collaborato al massimo delle nostre capacità in questo caso e se da una parte rispettiamo il lavoro importante delle forze dell’ordine, dall’altra siamo fortemente in disaccordo con la loro decisione. Non siamo in grado di fornire informazioni che non abbiamo, la polizia ha arrestato qualcuno su dati che non esistono”.
“Inoltre – spiega il portavoce di WhatsApp – Facebook e WhatsApp funzionano in modo indipendente, quindi la decisione di arrestare un dipendente di un’altra società è un passo estremo e ingiustificato”.
“Non possiamo commentare questa indagine specifica, se non per dire che abbiamo collaborato per quanto abbiamo potuto vista l’architettura del nostro servizio – sottolinea la società – WhatsApp non memorizza i messaggi delle persone. Li trattiene fino a che non vengono consegnati, dopo esistono solo sui dispositivi degli utenti”.
“Inoltre – conclude – abbiamo messo in atto un forte sistema di crittografia “end-to-end”, che significa che i messaggi delle persone vengono protetti dai criminali online. Nessuno, né WhatsApp o chiunque altro può intercettare o compromettere i messaggi degli utenti”.