Amedeo Mancini, il 39enne di Fermo, sottoposto a fermo giudiziario per omicidio preterintenzionale aggravato da finalità razzista per la morte di Emmanuel Chidi Namdi, ha detto di “non appartenere a nessun movimento politico, di non disprezzare altre razze e di non aver avuto la volontà di uccidere” durante l’interrogatorio “analitico” a cui è stato sottoposto da parte dei sostituti procuratori Mirko Monti e Francesca Perlini.
Secondo il suo legale, l’avvocato Francesco de Minicis, Mancini è “molto dispiaciuto” e “si è pentito delle parole dette alla moglie di Emmanuel (“scimmia africana” ndr), quando pensava che i due coniugi stessero armeggiando vicino ad un’auto”. Tre – nella ricostruzione del difensore – le fasi dell’episodio: la prima di insulti, la seconda di aggressione e la terza finale della reazione del suo assistito. Fatti che dovrebbero emergere nell’esame autoptico fissato domani alle 12:30. Mancini ha anche detto che la donna lo ha morso su un braccio, facendo vedere i segni ai pm.
Amedeo Mancini, era stato fermato con l’accusa di omicidio preterintenzionale per l’uccisione di Emmanuel Chidi Namdi, il richiedente asilo nigeriano pestato a morte il 5 luglio a Fermo, mentre difendeva la compagna dagli insulti razzisti di un uomo che gli inquirenti hanno individuato in Amedeo Mancini.
L’uccisione di Emmanuel Chidi Namdi ha scosso l’Italia intera per la violenza inaudita e per gli insulti razzisti subìti dalla moglie della vittima. Nella Prefettura di Fermo sta per cominciare la riunione del Comitato per la sicurezza pubblica, con la presenza del ministro dell’Interno Angelino Alfano. Polemiche al Senato dove il senatore Carlo Giovanardi è stato interrotto dai banchi del Pd e M5S. “Ho subito una becera ed immotivata aggressione”, ha detto.
La donna, da quanto ricostruito, sarebbe stata prima aggredita verbalmente nel centro di Fermo, con insulti come “scimmie africane”, poi è stata strattonata. Quando il marito si è messo a difenderla, è stato selvaggiamente picchiato con calci e pugni fino alla morte. Don Vinicio Albanesi, che dava accoglienza ai due migranti nel seminario vescovile, e che dopo la morte dell’immigrato ha ricevuto una telefonata di solidarietà da Matteo Renzi, parla di una “provocazione a freddo” forse proveniente dallo stesso “giro delle bombe davanti alle chiese di Fermo”.
“Il Governo oggi a Fermo con Don Vinicio e le Istituzioni locali in memoria di Emmanuel. Contro l’odio, il razzismo e la violenza”. Lo scrive su Twitter il presidente del Consiglio Matteo Renzi. A Fermo è annunciata questa mattina la presenza del ministro dell’Interno a presiedere il comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica.
Sono state quattro le chiese della Diocesi prese di mira da ignoti attentatori che hanno piazzato ordigni esplosivi artigianali tra febbraio e maggio scorsi. I parroci sono tutti impegnati nel sociale e nell’assistenza a emarginati, tossicodipendenti e migranti. Anche per questo oggi il ministro dell’Interno Alfano presiederà a Fermo un comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica a cui prenderà parte anche il Procuratore della Repubblica.
Emmanuel Chidi Namdi e la moglie erano in fuga dalla Nigeria, dove avevano perso tutti i loro familiari in uno degli attacchi alle chiese cristiane da parte di Boko Haram e per arrivare in Italia avevano superato altre violenze in Libia. Una traversata che era costata la vita al bimbo che lei portava in grembo, ma che li aveva portati a sperare di un futuro migliore.
A gennaio don Vinicio li aveva uniti “informalmente”, per mancanza di documenti, in matrimonio nella chiesa di San Marco alle Paludi. Ed è stato proprio don Albanesi oggi a chiamare in causa, per l’aggressione, “lo stesso giro delle bombe davanti alle chiese”, o quanto meno lo stesso clima culturale: “Credono – ha detto il sacerdote – di appartenere alla razza ariana”.
Don Vinicio ha cointestato anche la ricostruzione dei fatti, sulla scorta del racconto della moglie di Emmanuel, che ha riportato escoriazioni guaribili in 5 giorni, e annunciato che si costituirà parte civile, in quanto presidente della Fondazione Caritas in veritate, che ha accolto 124 profughi, di cui 19 nigeriani. Un episodio che non ha precedenti nella città, dove gli stranieri sono numerosi e ben integrati e dove i richiedenti asilo vengono chiamati a raccontare le loro storie nelle scuole e nei raduni scout.