E’ stata licenziata dal centro estetico per cui lavorava e lei, R. M., si è vendicata col datore di lavoro dicendogliene di tutti i colori su Facebook. Probabilmente spinta dalla rabbia e “dall’l’ingiustizia” subìta, sulla bacheca del noto social network il titolare dell’azienda, un uomo di origini albanesi, si è ritrovato sommerso da insulti, offese ed espressioni a sfondo razzista.
Lui l’ha denunciata in procura. Per questo motivo la ragazza è stata condannata per diffamazione dal tribunale di Livorno. Insultare qualcuno sulla propria pagina facebook (quindi vale anche per gli altri social network) può essere considerato «un delitto di diffamazione aggravato dall’aver arrecato l’offesa con un mezzo di pubblicità» equiparato «sotto il profilo sanzionatorio alla diffamazione commessa con il mezzo della stampa».
Mettendo da parte la storia, da cui non emergono le motivazioni del licenziamento della ragazza (licenziamento che ha procurato la forte reazione), la sentenza appare giusta in linea di principio. Recare offese con un mezzo “incontrollato” come Facebook è come recarle a mezzo stampa o comunque con un mezzo adibito alla pubblicità. Basta dunque con la selva dei social dove anche in modo “anonimo” si possono insultare e offendere gratuitamente le persone senza la possibilità di difendersi.
L’unico modo per impedire queste offese o lo “stalking” nel caso di facebook è cancellare “l’amico”. Ma tagliato via per i canali permessi da Palo Alto, il falso amico potrebbe ripresentarsi sotto altre spoglie e (ri)chiedere l’amicizia e proseguire nell’azione di distubo. Ne sa qualcosa la giornalista Paola Ferrari di Rai Sport
che dopo aver vissuto da vicino questo fenomeno dilagante si dice soddisfatta per la sentenza del tribunale di Livorno e auspica una regolamentazione legislativa.
«Da tempo – afferma Paola Ferrari – sto portando avanti la mia battaglia contro i social network ed in particolare Twitter, essendo stata lungamente bersagliata sul web da epiteti anonimi e offensivi nel corso di tutta la conduzione della trasmissione ‘Stadio Europa’.
Il tribunale di Livorno conferma che il libero pensiero non deve essere diffamatorio nei confronti degli altri”, continua la giornalista.“Spero che questo provvedimento possa dare l’esempio per fermare, in Italia, una deriva davvero pericolosa che può portare anche a gesti drammatici, come dimostra in modo eclatante il caso di Carolina Picchio la ragazza di 14 anni che si è recentemente suicidata a causa dei continui insulti ricevuti su Facebook».