12 Ottobre 2024

“Ndrangheta? Io non parlo senza prove”. La gaffe del ministro Lanzetta

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Il Ministro Maria Carmela Lanzetta
SCIVOLONE SULLA ‘NDRANGHETA Il Ministro Maria Carmela Lanzetta

Contro la ‘Ndrangheta ci vogliono prove.  “E io, finché non ho le prove, non parlo”. A scatenare il putiferio proprio nel giorno dei defunti, sono le dichiarazioni al Corriere della Sera della ministra degli Affari regionali Maria Carmela Lanzetta, secondo cui per accusare le cosche ci vogliono elementi schiaccianti. Altrimenti? Beh, altrimenti in assenza di prove nessuno parli. Almeno lei fa così.

La più potente organizzazione criminale del mondo può dormire sonni tranquilli. Può benissimo continuare a fare i suoi sporchi affari, i suoi business spregiudicati e illegali, uccidendo e torturando imprese e cittadini, condannando interi territori al sottosviluppo. Secondo questa balzana teoria, lo sforzo di magistrati in trincea a combattere le ‘ndrine è del tutto vano.

Da sinistra i ministri Lanzetta Madia e Boschi
SMARRITA Il ministro Lanzetta insieme alle colleghe Madia e Boschi. In Cdm quando scioglie i comuni per Mafia chiede “prove schiaccianti”?

C’è da chiedersi a questo punto a che serve arrestare esponenti dei clan mafiosi se la pubblica accusa non ha prima le prove? A che servono le norme antimafia? A cosa sono serviti i sacrifici di uomini come Falcone e Borsellino? (A dirla tutta quelle parole offendono la loro memoria…). Di uomini di grande coraggio come Nicola Gratteri (per sua fortuna, mancato collega della Lanzetta…). Uomini che non hanno “prove” a priori quando mettono alla sbarra i mafiosi. A cosa serve parlare ai ragazzi di legalità quando un esponente importante del governo ti dice che per combattere la mafia ci vogliono le prove? A cosa è servita la scomunica dei mafiosi di Papa Francesco? Eppure insieme ai suoi colleghi ministri si rende partecipe dello scioglimento di comuni per infiltrazioni mafiose. Cosa fa il ministro? Chiederà prima ai prefetti “prove schiaccianti”?  Come l’ha messa la Lanzetta, la sua dichiarazione somiglia  un po’ all’antico retaggio siciliano. “La mafia? Nun sacciu, nun vedu e nun sentu”. 

Maria Carmela Lanzetta alla CameraRipercorrendo la sua storia, ci sono almeno tre circostanze che il ministro degli Affari regionali Maria Carmela Lanzetta ricorda bene nella sua vita istituzionale. La prima circostanza, ai tempi della guida del comune di Monasterace, in provincia di Reggio Calabria. Clan mafiosi o criminalità comune o organizzata, (presunti tali, direbbe lei) la presero di mira con numerose intimidazioni, le più gravi delle quali gli spari alla sua auto e l’incendio alla farmacia di famiglia. Intimidazioni e minacce che la costrinsero ad annunciare le dimissioni additando lo Stato di averla abbandonata nella sua lotta ai clan della Locride, l’area a più alta densità mafiosa d’Europa. Episodio molto eclatante che balzò sulle prime pagine dei giornali nazionali. All’indomani piovvero attestati di stima e solidarietà. Diventò ben presto simbolo antimafia su cui poi vedremo, costruirà la sua fortuna politica.

L'ex segretario Pd Pierluigi Bersani esprime solidarietà a Lanzetta
L’ex segretario Pd Pierluigi Bersani esprime solidarietà a Lanzetta

L’allora segretario del Pd Pierluigi Bersani si recò a Monasterace insieme allo stato maggiore del partito per esprimerle solidarietà. Lanzetta, stretta da tanto calore e vicinanza, si convinse a ritirare le paventate dimissioni. La seconda volta, lasciò l’incarico in polemica con il voto contrario di un suo assessore in merito alla costituzione di parte civile del comune contro alcuni indagati in un procedimento penale a carico di un dipendente comunale accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Un voto che l’allora sindachessa ritenne  un “vulnus” rispetto alla nuova impostazione amministrativa “improntata sulla legalità e sul rispetto delle regole”.

M.Carmela Lanzetta - El Pais
Maria Carmela Lanzetta su El Pais

La seconda circostanza, quando da “icona antimafia” divenne una Star. Le interviste si sprecarono. Tutti la cercarono per parlare di cultura della legalità e mafia nelle scuole, nei convegni. Il suo coraggio di resistenza era un esempio. Diventò celebre insieme ad altri sindaci donna, alfieri della “lotta alla ‘Ndrangheta in Calabria”. Con le colleghe di Rosarno, Elisabetta Tripodi; di Decollatura, Annamaria Cardamone e Caterina Girasole, sindaco di Isola Capo Rizzuto (quest’ultima poi arrestata con l’accusa di voto di scambio e concorso con ambienti mafiosi), Lanzetta era tutti i giorni in Tv e sui media.

Della loro “battaglia antimafia” se ne accorse addirittura il quotidiano spagnolo “El Pais” che con un lungo reportage eresse le quattro sindachesse “coraggiose” a simbolo della legalità in Calabria. Tutte donne Pd, allora di fede bersaniana. Il giornalista del Corriere Goffredo Buccini le dedicò pure un libro” L’Italia quaggiù. Maria Carmela Lanzetta e le donne contro la ‘ndrangheta”. 

L’ultima circostanza risale al febbraio 2014. E’ il giorno della formazione del governo. Renzi da presidente incaricato scioglie la riserva e si reca al Colle. La Lanzetta per puro caso diventa ministro della Repubblica. Per puro caso, quasi a sua insaputa perché Renzi salì al Quirinale con una lista e ne usci con un’altra. Un gran lavoraccio per Delrio che dovette fare da tappabuchi a tutte le obiezioni del Colle. Maria Carmela riceve nella sua farmacia la telefonata di Delrio: “Vuoi fare il ministro?” Lei ci pensa su incredula e ha detto si. “Evviva!”. E la Calabria, regione di ‘ndrangheta, collusioni e malaffare, ebbe il suo ministro donna.

Di cosa sia successo al Quirinale quel giorno si hanno indizi e sospetti ma non ci sono le prove. Arcinoto è il siluramento di Gratteri, già di fatto Guardasigilli sostituito all’ultimo minuto da un imbarazzatissimo (e poco entusiasta) Orlando.
Taciturna, Maria Carmela Lanzetta, ha scalato il potere con inedito e sorprendente successo. Difficile ricordare che un sindaco di appena tremila anime nella Locride, con una esperienza amministrativa modesta alle spalle (dopo sette anni di sindacatura il suo comune pieno di debiti, le inchieste, subito archiviate, su presunti appalti…), venisse catapultata dalla fortuna a ricoprire un ruolo apicale nel governo nazionale.

E con una delega importante: gli Affari regionali, autonomie e sport, un dicastero che dovrebbe occuparsi anche della riforma del Titolo V della Costituzione. Roba ben più importante di riassestare strade di paese o pali della pubblica illuminazione.

Maria Carmela Lanzetta il giorno del giuramentoDi lei tutti ne parlano bene. E’ persona ingenua, discreta e laboriosa. Una tipa che parla poco e tenta di fare i fatti, anche se lei e il suo lavoro “non si vedono”.

“Il ministro fantasma”
, la definì il settimanale “l’Espresso” invocando addirittura la trasmissione “Chi l’ha visto” per avere sue notizie. “La titolare del dicastero degli Affari Regionali è un ectoplasma: da mesi non si sente un suo intervento o una sua dichiarazione”, è il sommario dell’articolo a firma di Guido Quaranta.

Ci torna Fabrizio Roncone  del Corsera che cerca conferma se fosse o meno un “ministro invisibile”. Il giornalista pone due “domandine seccanti” in coda all’intervista e mette in crisi lei e il governo Renzi. La notizia sta lì, nell’ultima delle “domandine”. 

Allora, domanda il cronista: “Non è un po’ curioso che lei guidi il dicastero degli Affari regionali dopo aver lasciato il Comune che ha governato per sette anni, Monasterace, in un pozzo di debiti? «Sa da dove le sto rispondendo? Proprio da Monasterace. E posso dirle che qui mi vogliono ancora tutti bene e mi rispettano. E sa perché? Perché conoscono la mia onestà e…». Le chiedevo dei debiti, incalza Roncone: «Li trovai. Appena mi insediai, trovai i conti del Comune in rosso, tremendamente in rosso. Ci pensai un po’ e presi una decisione: voglio provare a risanare questo Comune. Purtroppo non ci sono riuscita. Sono coraggiosa e lo ammetto».

lanzetta corseraLa seconda domanda più seccante del Corriere. “Quando era sindaco, le fu incendiata la farmacia di famiglia e la sua Fiat Panda fu centrata da quattro colpi di pistola. Per questo, e per molto tempo, lei è stata considerata un sindaco anti ‘ndrangheta e…”.

«No, aspetti…”, mette subito le mani avanti il ministro – “La ‘ndrangheta? Io non ho mai parlato di ‘ndrangheta. Non l’ho fatto perché per dire una cosa del genere bisogna avere le prove. E io, finché non ho le prove, non parlo».
Come se la Farmacia si fosse bruciata per combustione chimica di farmaci o, come ironizzava tagliente Michele Mercuri su Twitter, “Fu la sua panda ad andare a sbattere contro 4 pallottole”. Sintesi illuminante del Lanzetta pensiero.

“Però è stata a lungo considerata sindaco anti ‘ndrangheta…” è la nuova domanda.
«Sono sotto scorta. Ma la utilizzo solo per spostamenti necessari. Per dire: ho il mare a cento metri, ma non ci vado. Ecco…».

Prima ancora della “notizia” sulla ‘ndrangheta, un chiacchiericcio con poco appeal. Che in effetti il ministero che guida Lanzetta “non è di interesse” per l’opinione pubblica è cosa scontata. “Non sono io a essere invisibile, ma il mio lavoro”, dice. Quindi se “non sono interessante, i giornalisti non mi cercano. Meglio la Boschi che cura i rapporti col parlamento. Dopotutto “non vi siete persi granché”, afferma spensierata. Nel colloquio col Corriere l’esponente di governo si lascia andare e parla dei suoi rapporti con il premier. “Renzi parla, parla tantissimo… è un vulcano di idee… comunque, quando poi qualcuno di noi ministri vuol dire qualcosa, uno alza la mano e lui ci fa parlare…». Straordinaria. Il cronista le chiede: “Ma Renzi vi fa parlare liberamente? «Certo – risponde il ministro. Non ci ha mai tolto la parola, mai. Finora, giuro, non è mai successo». Ci mancherebbe pure, direbbe più di qualcuno. Insomma una giornata da dimenticare per il ministro.

Pare che Renzi – così come ambienti politici nazionali – sia molto irritato per le parole del ministro Lanzetta sulla ‘ndrangheta. Ma lei sarà come sempre pronta a smentire e tornare sui suoi passi: “Dove sono le prove che io abbia detto queste cose?”.


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