26 Aprile 2024

Ex Ilva, misure cautelari dalla Procura di Potenza: arrestato l’avvocato Amara

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Misure cautelari sono state disposte dalla Procura di Potenza, nell’ambito di un’inchiesta che riguarda presunte irregolarità commesse dall’ex procuratore di Taranto, Carlo Maria Capristo, in indagini sull’ex Ilva.

Arrestato l’avvocato siciliano Piero Amara, le cui dichiarazioni sulla presunta ‘loggia Ungheria’ che avrebbe tra l’altro condizionato le nomine al Csm, sono al centro del nuovo caso che ha scosso la magistratura. Per l’ex procuratore Capristo è stato disposto l’obbligo di dimora. Le altre misure cautelari riguardano, l’avvocato di Trani Giacomo Ragno e il poliziotto Filippo Paradiso.

Amara è stato consulente legale di Ilva quando l’azienda era in amministrazione straordinaria e, in tale veste, avrebbe avuto rapporti con Capristo.

In una nota, la presidente del Senato Elisabetta Casellati “smentisce di aver mai incontrato l’avvocato Amara e si riserva di agire legalmente nelle competenti sedi nei confronti di tutti coloro che riportano fatti non corrispondenti al vero”.

Secondo l’accusa, l’avvocato siciliano Piero Amara, sarebbe stato l’uomo di contatto con Capristo quando il legale era consulente per conto dell’amministrazione straordinaria di Ilva, quest’ultima affidata a commissari di nomina Mise.

Ci sarebbe stato, secondo la Procura di Potenza, uno scambio di favori relativi ai procedimenti giudiziari per l’ex Ilva, azienda che negli anni di Capristo a Taranto chiese anche un patteggiamento. Ai nuovi provvedimenti di oggi, i magistrati di Potenza sono arrivati sulle tracce della prima inchiesta, quella che a maggio dello scorso anno aveva portato Capristo agli arresti domiciliari per una vicenda relativa a pressioni che lo stesso Capristo, quando guidava la Procura di Trani, avrebbe esercitato sulla pm Silvia Curione in merito a un’inchiesta.

Quest’ultima, moglie di un pm, Lanfranco Marazia, che è stato sostituto di Capristo a Taranto (Curione e Marazia sono oggi alla Procura di Bari mentre Capristo, che ha sempre respinto tutte le accuse ed è attualmente a processo a Potenza, è in pensione). Sotto la sua gestione a Taranto, Capristo si è interessato più volte di questioni relative all’ex Ilva.

Un attivismo che non passò inosservato anche se ripetute volte la Procura si è interessata della fabbrica e non solo per le vicende relative all’inchiesta Ambiente Svenduto, cioè la gestione del gruppo Riva, inchiesta sfociata in un processo in Corte d’Assise conclusosi a fine maggio scorso con pesanti condanne.

A marzo 2019, per esempio, Capristo promosse nel suo ufficio un vertice con diversi soggetti, non solo giudiziari, per un punto di situazione sui lavori di bonifica agli impianti. Al vertice parteciparono l’allora commissario di Governo alla bonifica di Taranto, Vera Corbelli, l’Arpa Puglia ed anche ArcelorMittal Italia, con l’allora amministratore delegato Matthieu Jehl.

ArcelorMittal era subentrata da novembre 2018 ai commissari di Ilva divenendo gestore degli impianti. Finito il vertice, nessuno dei partecipanti rilasciò dichiarazioni ai giornalisti. Parlò solo Capristo e disse: “Ci saranno incontri periodici in Procura. Ognuno rappresenterà i lavori che vengono eseguiti e programmati sotto la supervisione del nostro uffici”. “Lo Stato c’è – disse ancora il procuratore – e oggi era presente in tutte le sue componenti di verifica e di validazione di dati certi. Le risposte immediate ci sono perché i programmi in corso d’opera saranno verificati anche da noi”.

Ma prim’ancora, a settembre 2016, Capristo dissequestrò dopo breve tempo il nastro trasportatore dell’altoforno 4 del siderurgico di Taranto dove c’era stato un incidente mortale sul lavoro. Aveva perso la vita Giacomo Campo, un operaio 25enne dipendente dell’impresa appaltatrice Steel Service, rimasto incastrato nel nastro trasportatore mentre rimuoveva il minerale dallo stesso nastro. Il procuratore Capristo, annunciando il dissequestro del nastro e della relativa area, affermò che l’operazione si rendeva necessaria anche per motivi di sicurezza non potendo un impianto particolare e complesso tecnicamente quale è un altoforno, stare fermo per molto tempo.

Emerse inoltre che il nastro trasportatore in questione presentava un ampio squarcio, di circa 200 metri, tant’è che l’azienda dovette sostituirlo mentre il nastro tagliato rimase sotto sequestro, a disposizione della magistratura e dei periti per analizzare le motivazioni che avevano determinato la rottura. A proposito dell’ampiezza dello squarcio, il procuratore Capristo, allora, pur non parlando esplicitamente di sabotaggio, disse tuttavia che c’erano segnali, al vaglio dell’autorità giudiziaria, che facevano ipotizzare la presenza di azioni interne ed esterne alla fabbrica contrarie al progetto di risanamento ambientale.


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