26 Aprile 2024

In Trentino i più longevi, Sud in coda. Chi ha la laurea vive di più

Lo dice uno studio dell'Osservatorio Nazionale della Salute nelle Regioni Italiane. Al Nord tre anni di vita in più rispetto alla Campania. L'istruzione allunga la vita

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Trentino Alto Adige
Paesaggio del Trentino Alto Adige

In Trentino Alto Adige si vive in media fino a tre anni in più che in Campania. A denunciare questo divario è l’Osservatorio Nazionale della Salute nelle Regioni Italiane, con un focus dedicato alle disuguaglianze di salute in Italia. In Campania nel 2017 gli uomini vivono infatti mediamente 78,9 anni e le donne 83,3; nella Provincia Autonoma di Trento 81,6 gli uomini e 86,3 anni le donne. In generale, la maggiore sopravvivenza si registra nel Nord-Est, dove la speranza di vita per gli uomini è 81,2 anni e per le donne 85,6; decisamente inferiore nel Mezzogiorno, dove si attesta a 79,8 anni per gli uomini e 84,1 per le donne.

In generale, rileva l’Osservatorio – che ha sede a Roma presso l’Università Cattolica – in Italia si vive più a lungo a seconda del luogo di residenza o del livello d’istruzione: si ha una speranza di vita più bassa al Sud, in particolare in Campania, o se non si raggiunge la laurea. Inoltre chi ha un titolo di studio basso ha anche peggiori condizioni di salute. Queste disuguaglianze sono acuite dalle difficoltà di accesso ai servizi sanitari che penalizzano soprattutto chi ha un livello sociale più basso. Insomma il Servizio sanitario nazionale assicura la longevità, ma non l’equità sociale e territoriale.

“Il Servizio sanitario nazionale oltre che tutelare la salute, nasce con l’obiettivo di superare gli squilibri territoriali nelle condizioni socio-sanitarie del Paese. Ma su questo fronte i dati testimoniano il sostanziale fallimento delle politiche”, spiega Alessandro Solipaca, Direttore Scientifico dell’Osservatorio.

Secondo l’Osservatorio, le province può longeve d’Italia sono Firenze e, a seguire, Monza e Treviso. Firenze, con 84,1 anni di aspettativa di vita, fa totalizzare 1,3 anni in più della media nazionale, seguita da Monza e Treviso con poco più di un anno di vantaggio su un italiano medio. Il dato sulla sopravvivenza mette invece in luce l’enorme svantaggio delle province di Caserta e Napoli che hanno una speranza di vita di oltre 2 anni inferiore a quella media nazionale, seguite da Caltanissetta e Siracusa con uno svantaggio di sopravvivenza di 1,6 e 1,4 anni rispettivamente.

Il titolo di studio, sostiene l’Osservatorio, influisce sulle condizioni di salute, sulla speranza di vita e anche sulla rinuncia da parte degli italiani ad almeno una prestazione sanitaria. In Italia un cittadino può sperare di vivere 77 anni se ha un livello di istruzione basso e 82 anni se possiede almeno una laurea; tra le donne il divario è minore, ma pur sempre significativo: 83 anni per le meno istruite, circa 86 per le laureate.

Non solo: a 25-44 anni la prevalenza di persone con almeno una malattia cronica grave è pari al 5,8% tra coloro che hanno un titolo di studio basso e al 3,2% tra i laureati. Tale gap aumenta con l’età: a 45-64 anni, è il 23,2% tra le persone con la licenza elementare e l’11,5% tra i laureati. Tra coloro che hanno completato le scuole dell’obbligo e hanno tra i 45 e i 64 anni la rinuncia ad almeno una prestazione sanitaria è pari al 12%, mentre scende al 7% tra i laureati. La rinuncia per motivi economici tra le persone con livello di studio basso è pari al 69%, mentre tra i laureati tale quota si ferma al 34%.

Le disuguaglianze maggiori rispetto al livello di istruzione si riscontrano per i sistemi sanitari di tipo mutualistico, dove si osserva che la quota di persone che sono in cattive condizioni di salute è di quasi 15 punti percentuali più elevata tra coloro che hanno titoli di studio più bassi. Il nostro Paese è quello che ha il livello di disuguaglianza minore dopo la Svezia, avendo 6,6 punti percentuali di differenza tra i meno e i più istruiti. I dati presentati testimoniano, spiegano gli esperti, che “la sfida futura del Servizio sanitario nazionale sarà quella di contrastare le persistenti disuguaglianze con interventi e politiche urgenti”. Tra questi “l’allocazione del finanziamento alle Regioni, attualmente non coerente con i bisogni di salute della popolazione, e l’accessibilità alle cure”.


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