Sembra il copione di un thriller degno dei migliori scrittori del genere quello che sta emergendo dall’omicidio di Luca Varani, i cui protagonisti s’intrecciano in storie da brividi senza esclusioni di agghiaccianti colpi di scena.
Di nuovo c’è che Manuel Foffo, il padrone di casa in cui sono avvenute le sevizie con l’uccisione del 23enne ha ammesso di voler uccidere il padre. “Volevo uccidere mio padre e forse ho combinato tutto questo per vendicarmi di lui”, ha detto Foffo al pm Francesco Scavo nel corso del secondo interrogatorio svolto venerdì scorso nel carcere di Regina Coeli. Dichiarazioni che a leggerle procurano un brivido lungo la schiena non solo al padre del presunto assassino di Luca Varani, bensì della platea di appassionati di thriller.
“Il momento in cui ho perso il controllo di me stesso – ha spiegato – credo sia quando tra me e Marco è uscito l’argomento di mio padre. Io e Marco Prato abbiamo iniziato a parlare a lungo di mio padre e questa cosa mi ha fatto “venire il veleno”, avevo una forte rabbia interiore – continua Manuel Foffo – Questo è durato fino alle 2.30. Durante i nostri discorsi ricordo che era come se Marco sembrava darmi ragione, i nostri discorsi erano davvero sinceri, lui mi guardava con uno sguardo criminale”.
Sguardi “d’intesa” per commettere il macabro crimine al solo scopo di “vederne l’effetto”; di scaricare con violenza contro Luca Varani la rabbia e il “veleno” accumulati dentro per il rancore verso il padre dello studente universitario. Una notte drammatica, quella tra il 4 e 5 marzo scorso, dove la vittima predestinata è stata attirata a sua insaputa in una trappola mortale e, smarrito tra finzione e crudele realtà, la vittima non è mai arrivata per tempo a immaginare gli istinti omicidi delle due menti criminali.
Seviziato e torturato per ore, finito a coltellate, almeno una trentina, e a martellate. Trucidato tra i fumi dell’alcool e l’euforia della cocaina. Attorno ai carnefici, l’odore di sangue e puzza di morte con le pareti dipinte di rosso che giravano e rigiravano come un labirinto di specchi zozzi. Scaricato il “veleno” e arrivata un po’ di lucidità, uno dei due simula un suicidio, l’altro va dal padre a raccontare che quel “veleno”, che in fondo aveva riservato a lui, lo ha scaricato come un Cobra su un giovane di appena 23 anni. Poi una sequela di rimpalli di responsabilità tra Manuel Foffo e Marco Prato. “E’ stato Marco a dargli il colpo di grazia”. La giustizia farà il suo corso, si dice in Italia. Negli Stati Uniti, in Cina e altrove usano fare diversamente… Ciò che resta è quella giovane vita spezzata dal “gioco” crudele e macabro di criminali paranoici che forse dalla vita hanno avuto di tutto e di più. Evidentemente, gli mancava solo il gusto di uccidere “per vederne l’effetto”.