Un solo punto fermo e due ipotesi principali che solo un attento esame da parte degli esperti potrà dipanare nella tragedia del bus precipitato a Mestre.
Escluso che si sia trattato di un incidente stradale che si è trasformato in una carambola mortale per 21 dei passeggeri che viaggiavano sul mezzo elettrico, le ipotesi sul tavolo della procura di Venezia che indaga per omicidio plurimo stradale contro ignoti restano due: una circostanza che ha visto vittima l’autista Alberto Rizzotto (malore o colpo di sonno) deceduto nell’impatto, dopo un volo di alcuni metri, oppure un guasto del mezzo, in circolazione da neppure un anno, guidato dal 40enne originario di Conegliano e riconducibile alla societa di trasporti La Linea.
Il procuratore di Venezia: “Nessun urto con altri mezzi”
Il procuratore capo di Venezia Bruno Cerchi è avaro di parole, ma quelle che usa sono punti certi di un incidente la cui dinamica è ancora da mettere a fuoco con 13 vittime ancora da identificare e quattro dei 15 feriti che non hanno al momento un nome. “Non c’è stato nessun urto con altri mezzi”, un autobus “era affiancato” a quello guidato da Rizzotto, ma “non risulta alcun segno su questo mezzo, tanto più che il primo che ha chiamato il soccorso è stato l’autista del mezzo che si è fermato e ha tentato di intervenire con un estintore” spiega in un incontro con la stampa.
Restano così da vagliare le condizioni psicofisiche dell’autista su cui sarà effettuata l’autopsia per escludere che avesse assunto sostanze non consentite, oltre che accertamenti tecnici sul cellulare per dimostrare che quel salto nel vuoto non sia stato originato da un attimo di distrazione. Non si esclude un colpo di sonno sebbene appare accertato, come afferma Massimo Fiorese l’amministratore delegato della società di trasporto, che il turno di lavoro dell’autista – descritto come “esperto alla guida e appassionatissimo del suo lavoro” – fosse iniziato da non più di tre ore, consentendogli di fare la navetta tra il camping Hu di Mestre e Venezia non più di due o tre volte.
I nodi dell’indagine: batterie al litio e barriere di protezione
Che la tesi di un malore sia la più accreditata lo raccontano le immagini riprese dalle telecamere e descritte dal capo della procura. “L’impatto del pullman è avvenuto una cinquantina di metri prima della rottura del guardrail e della caduta, sembrerebbe che il bus si sia accostato al guardrail, lo abbia affiancato per una cinquantina di metri, poi c’è stata un’ulteriore sterzata, l’appoggio verso destra e la caduta. Non risulta che ci sia stato un incendio nel senso tecnico del termine, c’è stata una fuoriuscita di gas delle batterie, su queste stiamo facendo degli accertamenti”.
Tutti concordano – testimoni e primi feriti sentiti da carabinieri e polizia locale -, e ci vorrà poco per accertarlo con precisione, che il bus viaggiava lentamente, a causa del traffico, di un tratto di strada interessato da lavori di ammodernamento e di uno svincolo che porta a rallentare.
“C’è un’indagine in corso, ma l’autobus – spiega l’amministratore delegato della ditta di trasporti Fiorese – era praticamente fermo”. Che non sia la velocità su quel rettilineo la causa dell’incidente mette d’accordo tutti, sono due invece i punti spigolosi dell’indagine su cui lavora anche la polizia. Le batterie al litio e la doppia barriera di protezione che non bastano a frenare il pullman. Bisognerà capire, con video e consulenze, se il bus possa aver avuto un problema proprio alle batterie che lo alimentano. Per chi conosce da vicino i mezzi di trasporto, le batterie sono sicure, prive di gas, contengono “liquidi di raffreddamento che lavorano a una temperatura controllata”, se c’è un principio di incendio – solo parte della carrozzeria risulta annerita – sarebbe piuttosto dovuto a un “impianto elettrico di bassa tensione”.
Che di incendio non si possa parlare concorda la procura che però vuole approfondire sul tema dell’elettrico, così come accertamenti sono in corso “sul guardrail e sul parapetto esterno che dà sul baratro”. A un primo sguardo la barriera che costeggia la strada comunale porta i segni del tempo, tanto che sono in corso investimenti ingenti per garantire la sicurezza su quel tratto di strada, ma è tutto da dimostrare che abbia un ruolo in quanto accaduto, come ritiene invece Fiorese.
“È un guardrail vecchio, degli anni Cinquanta, forse è una concausa dell’incidente. Guardando le immagini si nota quasi l’autobus fermo, poi precipita, i fotogrammi fanno ipotizzare che possa essersi trattato di un malore”.
L’assessore alla Mobilità di Venezia
Un’immagine satellitare del 2022 di Google Maps restituisce che lungo il cavalcavia di Mestre in cui è precipitato il bus, in cui hanno perso la vita 21 persone, manca un tratto di guardrail. Proprio la barriera di protezione, che potrebbe essere obsoleta, è uno degli elementi al vaglio della procura di Venezia che indaga su quanto accaduto ieri. Per l’assessore alla Mobilità del capoluogo veneto Renato Boraso, però, quella ‘mancanza’ “di un metro e cinquanta è un punto di passaggio, un varco di accesso per motivi di sicurezza, per la manutenzione” spiega all’Adnkronos.
“Si tratta – aggiunge- di una piccola interruzione che si trova, talvolta, lungo i guardrail. Non vorrei che qualcuno pensasse che 13,5 tonnellate (il peso del bus precipitato, ndr.) si sarebbero fermate per un metro e cinquanta” in più di barriera.
“Bisogna capire perché in un rettilineo in discesa questo bus ha perso il controllo, il guardrail non è neanche una concausa perché siamo in un rettilineo” evidenzia Boraso, ammettendo che “sicuramente la doppia fila di guardrail è vetusta perché così abbiamo ereditato questo cavalcavia”, ora al centro di un progetto di ammodernamento da 6,5 milioni di euro. “Non è che un metro e mezzo impedisce la caduta”, dice Boraso, assicurando che il bus è precipitato “25 metri dopo”.