“Ho fatto 40mila accessi, ma agivo su ordine del pm. La procura di Perugia ha fatto molte cavolate”. Pasquale Striano, il finanziere al centro dell’inchiesta sul dossieraggio parla alla Verità. Su di lui ci sono molte indagini. Secondo l’accusa ha utilizzato il suo ruolo di capo del gruppo sulle Segnalazioni di Operazioni Sospette (Sos) per compilare dossier che avrebbe poi girato ai giornalisti. Indagato con lui è -come sappiamo- anche l’ex magistrato Antonio Laudati, responsabile delle segnalazioni nella Direzione Nazionale Antimafia. Con loro due sono indagati anche otto giornalisti. L’inchiesta in totale ne conta 15. Striano decide di parlare con il quotidiano diretto da Belpietro, in edicola sabato 16 marzo. L’ufficiale delle Fiamme Gialle confessa di aver effettuato 40 mila accessi: «Ma agivo su ordine dei pubblici ministeri». E aggiunge: «Alla Dna si pensa poco alla mafia e molto al potere».
“Ho fatto 40mila accessi, non 4.000. Era il mio lavoro”
“Io di segnalazioni di operazioni sospette (le sos) non ne ho visionate 4.000, come dicono loro, ne ho visionate 40.000. Era il mio lavoro. Io ero una persona super professionale che acquisiva notizie a destra e a sinistra. Lo ammetto, anche con metodi non sempre ortodossi. Ma non mi devono far passare per quello che non sono. Io adesso andrò a farmi le mie ragioni, perché loro (gli inquirenti, ndr) stanno inventando una marea di cose per amplificare una vicenda che invece è abbastanza ridicola”. Dunque, il dato che salta subito in evidenza è il vero numero degli accessi: «Non hanno capito nulla dei numeri che hanno dato, non sanno quali fossero le procedure, non sanno nulla – afferma Striano- . Il mio lavoro era quello di fare attività Antimafia e di farla bene. Di occuparmi di fenomeni che potevano essere calzanti: gli affari dietro al Covid, i bitcoin, i nigeriani. Ho fatto sempre ed esclusivamente questo».
“Ho agito su ordine dei pm”
Sulla Direzione Antimafia afferma: «Non ha motivo di esistere- riporta la Verità- . Se la Dna fosse come la ha concepita Falcone, così come la Direzione investigativa antimafia per cui ho lavorato – e non sono uno che sputa nel piatto dove ha mangiato – allora sarebbe diverso. Ma purtroppo lì ci sono uomini che non sono più in grado di fare le indagini. Io ho evidenziato a chi di dovere le criticità e non cercavo gratificazioni. Poi, non lo scopro io, esisteva una lotta tra magistrati. Una gara a chi era più bravo, a chi era più bello, a chi aveva più potere. Questo lo spiegherò in Procura e in Tribunale». E’ sua convinzione, da quanto emerge, è che il suo occuparsi di dossier pre-investigativi gli procurava invidie: «Non solo invidie interne, perché lì a livello nazionale c’è un macello».
“Dietro l’inchiesta di Perugia c’è qualcosa di grosso”.
Strano ha spiegato in cosa cosa consistesse la sua attività: «Per far approfondire i nostri filoni investigativi i magistrati si rivolgevano dove conoscevano; sceglievano le Dda con tale criterio e questo è un fatto un po’ scandaloso. A me di queste di queste logiche non fregava niente. Se scrivevo un bell’appunto per me l’importante era che venisse approfondito, che mi dicessero che era fatto bene». Mentre nell’Antimafia ognuno fa i propri interessi: «Purtroppo è così. Adesso mi è capitato questo casino e per questo mi dovrò difendere. Ma qui non ci sono fatti inquietanti, come sostengono gli inquirenti, le cose diventano tali in altre stanze, capito? Ma non mi riguardavano. Io tante cose le sentivo, ma non mi interessavano».
“Ho fatto tre appunti su Berlusconi. Mi sono stati chiesti. E non dai giornalisti”
Striano sottolinea che l’input per le indagini veniva dagli stessi procuratori. «Io ho fatto tre appunti su Berlusconi. Tre o quattro. Mi sono stati tutti chiesti. E non dai giornalisti. Non li ho fatti perché ho letto gli articoli del Domani. Li ho realizzati perché me li chiedeva il procuratore». Striano si riferisce alla Procura Nazionale Antimafia che indagava su singoli personaggi o sospetti di reato. «Ho fatto tutto per amor di giustizia – prosegue il finanziere su La Verità – La polizia giudiziaria, a certi livelli, acquisisce notizie ovunque e dà pure qualcosa in cambio”. Infine Pasquale Striano spiega anche che il suo metodo di lavoro non prevedeva neppure un’autorizzazione preventiva. «Ma ci sono tante cose che mi sono state chieste espressamente. Non mi metto a fare i conti della serva. Io spiegherò quale fosse il mio metodo- dice ad Amadori- . Poi il giudice, magari, mi dirà: “Non lo dovevi fare”. Allora io risponderò: “Ma io non dovevo chiedere un’autorizzazione a monte. E comunque i miei risultati arrivavano con questo metodo di lavoro”».