“C’è una gravissima minaccia nei confronti di tanti cristiani in diverse parti del mondo. Bisogna fare di più”, anche ricorrendo ad una “azione militare”. Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni in una intervista al Corriere della Sera interviene dopo la strage al campus di Garissa in Kenia dove il Califfato ha massacrato quasi 150 persone.
Papa Francesco a Pasqua aveva condannato “l’azione brutale” commessa ai danni dei cristiani di Garissa: “Il mondo non deve rimanere inerte alla persecuzione dei cristiani”, era stata la sua esortazione.
“Per contrastare il terrorismo – dice Gentiloni – è inevitabile il risvolto militare. Qualcuno potrà scandalizzarsi, ma questi gruppi vanno affrontati anche sul piano militare”, ha detto Gentiloni commentando i recenti attacchi ad opera di militanti islamici in varie parti del mondo.
In futuro “si potrebbe valutare l’opportunità di contribuire al contrasto del terrorismo in Libia o di fenomeni come Boko Haram in Nigeria”, ha spiegato il titolare della Farnesina, ricordando che l’Italia è impegnata in una coalizione militare anti-Daesh soprattutto in Iraq e Siria.
Il ministro ha in mattinata corretto il tiro affermando a Radio Anch’io che l’opzione militare “non è l’unica via percorribile”. Ma l’intenzione di un intervento armato Gentiloni l’aveva già ventilato dopo le ultime minacce dell’Isis contro l’Italia a febbraio: “Siamo pronti”, aveva detto.
Alla domanda sul recente accordo con l’Iran, il ministro ha parlato pure delle preoccupazioni di Israele. “L’Italia,- ha detto Gentiloni – in tutti questi anni, è stata favorevole al raggiungimento di un buon accordo, e certo non per astratto amore del negoziato. Condivido l’opinione degli Stati Uniti: i fondamenti sono stati raggiunti.
Capisco le preoccupazioni israeliane, ma escludo che Netanyahu possa avere nostalgia di Ahmadinejad. Se l’accordo – ha concluso il ministro – verrà definitivamente concluso a giugno, sono certo che stabilizzerà l’Iran e favorirà una sua evoluzione in una direzione meno pericolosa per Israele”.