Dopo un tira e molla interminabile, si è dimesso in serata il sindaco di Roma, Ignazio Marino. L’addio è arrivato dopo il pressing del Pd e le dimissioni del vicesindaco e di due assessori. Per Marino è stata una giornata sotto assedio, col rischio di una sfiducia da parte del Pd. Orfini nel pomeriggio ha incontrato gli assessori, poi una delegazione è andata dal sindaco: ‘E’ finita’. Presidi in piazza e pro e contro il sindaco.
Ma Marino, stabilisce la legge, ha 20 giorni di tempo per ripensarci. Le dimissioni sono solo presentate, non efficaci da domani. E lui lo sottolinea: “Lascio, ma ora occorre una verifica seria. Ho 20 giorni per ripensarci”.
Il sindaco, fino al tardo pomeriggio era stato in trincea con il Pd orientato a sfiduciarlo. Intanto, col passare delle ore il terreno sotto i piedi del sindaco si sgretolava.
Rimasto con quasi mezza giunta, era isolato. Si erano infatti dimessi il vice sindaco Marco Causi, l’assessore ai Trasporti Stefano Esposito e l’assessore al Turismo di Roma, Luigina Di Liegro, ultimi e importanti new entry dopo il rimpasto di questa estate che venne definito la “fase due” della giunta Marino.
Oggi è stata una giornata campale per Ignazio Marino. Per tutta la giornata di ieri e nella mattinata odierna è stato forte il pressing del Pd per far dimettere il sindaco, soprattutto dagli ambienti renziani.
Il sindaco ha resistito ma poi ha ceduto al forte pressing, col Pd che era intento a studiare una exit strategy sulla vicenda e sul tavolo ci sarebbero anche le dimissioni in massa degli assessori Dem nel caso Marino non rassegnasse le dimissioni. Stessa richiesta anche da Sel.
L’ultimatum – Si sta svolgendo l’atteso incontro pomeridiano tra il commissario del Pd Matteo Orfini e il segretario Sel, Paolo Cento. Il commissario dem di Roma sta incontrando alcuni assessori della giunta Marino nella sede nazionale del Pd di via Sant’Andrea delle Fratte.
In mancanza di un passo indietro da parte del sindaco Marino, a quanto si apprende, i vertici di Pd e Sel discuteranno del da farsi. Tra le ipotesi più accreditate fra i dem c’è quella di una mozione di sfiducia in Aula.