Si stringe il cerchio attorno al boss di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro. Stamane all’alba, in un’operazione denominata “Ermes”, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo è stata smantellata una cellula di presunti fiancheggiatori del latitante numero uno d’Italia.
Undici ordinanze di custodia cautelare per altrettanti fedelissimi del super boss alla macchia da oltre vent’anni sono state eseguite dalle squadre mobili di Palermo e Trapani.
Effettuate perquisizioni nelle province di Palermo e Trapani nei confronti di capi delle famiglie di Cosa Nostra trapanese e di presunti favoreggiatori del padrino latitante.
Gli investigatori controllavano da tempo i seguaci di Messina Denaro nel trapanese e hanno scoperto che tra loro comunicavano attraverso i classici pizzini con cui il “capo dei capi” trasmetteva i suoi messaggi.
Lo scambio dei pizzini avveniva in due masserie nelle campagne di Mazzara del Vallo e Campobello di Mazzara, di proprietà di due allevatori, oggi arrestati, Vito Gondola e Michele Terranova. Gli inquirenti hanno accertato che i bigliettini smistati durante i summit mafiosi, venivano nascosti sotto terra ben ripiegati e sigillati per non compromettere gli ordini.
Messaggi di morte, racket e droga, controllo del territorio e soprattutto segnali inequivocabili con cui Matteo Messina Denaro manifestava la propria vitalità e l’egemonia ai vertici di Cosa Nostra. Pizzini cifrati in cui comparivano spesso termini come “favino“, “concime” e altre parole con cui i presunti picciotti capivano al volo. Persone che avevano giurato eterna fedeltà al capo. Al termine dei summit nelle masserie, i cosiddetti “collettori” prelevavano i pizzini e li consegnavano ai destinatari. Molto rigide le regole imposte sulla comunicazione: i messaggi dovevano essere stile “Mission Impossible”, letti e poi distrutti, bruciati per non lasciare tracce. Le risposte agli ordini dovevano giungere entro termini prefissati, al massimo 15 giorni.
Gli arrestati sono Vito Gondola, 77 anni, ritenuto capo del mandamento di Mazara del Vallo; Leonardo Agueci, 28 anni, ragioniere della ditta So.vi.; Ugo Di Leonardo, 73 anni, architetto in pensione; Pietro e Vincenzo Giambalvo, 77 e 38 anni, padre e figlio; Sergio Giglio, 46 anni; Michele Gucciardi, 62 anni; Giovanni Loretta, 43 anni; Giovanni Mattarella, 49 anni, genero di Gondola; Giovanni Domenico Scimonelli, 48 anni; Michele Terranova, 46 anni.
Gondola, Gucciardi, Scimonelli, i due Giambalvo, Giglio, Di Leonardo e Terranova, sono indagati per associazione mafiosa. Mattarella, Agueci e Loretta per favoreggiamento aggravato dalla modalità mafiosa, per aver agevolato la latitanza del boss mafioso Matteo Messina Denaro.
Presi questa mattina vertici di #CosaNostra e presunti favoreggiatori del boss latitante #MessinaDenaro. Lo #StatoVince la mafia perde.
— Angelino Alfano (@angealfa) 3 Agosto 2015
Lo #StatoVince la mafia perde”, il ministro dell’Interno Angelino Alfano commenta così l’operazione che ha portato all’arresto di 11 presunti gregari di Matteo Messina Denaro. “Presi questa mattina vertici di #CosaNostra – scrive ancora Alfano via Twitter – e presunti favoreggiatori del boss latitante”.
L’operazione, finalizzata alla cattura di Matteo Messina Denaro, è stata condotta dalle squadre mobili di Trapani e Palermo, sotto il coordinamento dello Sco e con la partecipazione del Ros dei Carabinieri. L’indagine è stata avviata dalla Dda di Palermo.
LE INTERCETTAZIONI VIDEO
Nel corso della conferenza stampa nel corso del quale sono stati iillustrati i dettagli dell’operazione, il procuratore aggiunto di Palermo, Teresa Principato ha affermato che “Matteo Messina Denaro è una sorta di parassita che non tiene conto dei legami familiari, ma usufruisce dei soldi che i componenti della sua famiglia e del clan possono fargli avere”. Il magistrato, che ha coordinato l’inchiesta insieme ai pm Paolo Guido e Carlo Marzella, ha continuato Principato: “Nonostante il territorio sia più che sorvegliato e da anni si susseguono operazioni, ancora non siamo riusciti a prendere il latitante. Questo può significare solo che gode di protezioni ad alto livello”.
GLI INCONTRI TRA I “FEDELISSIMI”
Il boss Matteo Messina Denaro “non sta sempre nel Trapanese, ma si sposta dalla Sicilia e anche dall’Italia”, ha aggiunto il procuratore Principato. “Quando sente stringersi attorno a lui il cerchio – ha spiegato – taglia i contatti con i fedelissimi finiti sotto indagine”. Sono ventidue anni che l’ultimo “capo dei capi” di Cosa Nostra sta ancora alla macchia. Ma dopo la cattura dei suoi 11 presunti luogotenenti nulla è più come prima per Messina Denaro.