“Ho consegnato circa 300mila euro in contanti al giudice Antonio Savasta e 2 milioni di euro al pm Michele Nardi». Una ammissione, quella dell’imprenditore pugliese Flavio D’Introno, che ha consentito ai pm di Lecce, u di arrestare due magistrati in forze al Tribunale e alla Procura di Roma: il giudice Antonio Savasta e il pubblico ministero Michele Nardin tempo in forze alla Procura di Trani.
Secondo il gip, Nardi avrebbe attuato metodi stile «’ndrangheta» per ottenere denaro, mentre Savasta avrebbe addirittura incontrato a Palazzo Chigi l’allora sottosegretario Luca Lotti per addomesticare una indagine d’interesse dell’imprenditore Luigi Dagostino, già imputato a Firenze per false fatturazioni con i genitori di Matteo Renzi.
Rolex e diamanti per addomesticare i processi in Cassazione. Stando agli atti d’indagine Nardi «millantando credito presso i giudici del Tribunale di Trani componenti il collegio che giudicava il processo Operazione Fenerator», d’interesse dell’imprenditore Flavio D’Introno,«si faceva consegnare plurime utilità quale prezzo della propria mediazione con il pretesto di dover comprare il favore dei giudici, utilità consistite in un viaggio a Dubai del valore di 10mila euro; l’esecuzione a spese del D’Introno, che forniva materiale e manodopera, dei lavori di ristrutturazione dell’immobile di proprietà del Nardi sito in Roma (…) per un importo pari a circa 120-130mila euro; nell’importo di circa 600mila euro, come corrispettivo mai pagato dei lavori di ristrutturazione
della villa di proprietà della moglie» di Nardi.
Secondo le indagini il pm avrebbe tentato di farsi consegnare complessivi 2 milioni di euro. La paventata influenza sarebbe giunta anche in Corte di Cassazione. Per questo Nardi si sarebbe fatto dare da D’Introno anche «un Rolex Daytona acquistato il 16 maggio 2016 in prossimità di una delle udienze e costato 34mila 500 euro» oltre a «due diamanti ciascuno del valore di 27mila euro».
I rapporti con i servizi segreti deviati e la massoneria Stando agli atti giudiziari Nardi avrebbe minacciato D’Introno «in più occasioni», facendo riferimento «ai suoi rapporti con la massoneria e servizi segreti deviati, rappresentando a D’Introno che gli sarebbe bastato uno schiocco di dita per farlo sparire, così costringendolo a continuare a versare le utilità da lui pretese (complessivamente ammontanti a circa 1 milione e mezzo di euro, tra contanti, regali e lavori di ristrutturazione per le case di sua proprietà)». Secondo l’accusa avrebbe usato «minacce di morte», per indurre D’Introno a «non rivelare i loro illeciti rapporti».
(Fonte: Il Sole 24 Ore)