Mosca e Minsk hanno concordato di collocare armi nucleari tattiche sul territorio della Bielorussia. Lo ha dichiarato il presidente russo Vladimir Putin in un’intervista sul canale televisivo Rossiya 24, citato da Ria Novosti.
“Dal 3 aprile, iniziamo ad addestrare gli equipaggi. E il 1° luglio, termineremo la costruzione di un deposito speciale per armi nucleari tattiche sul territorio della Bielorussia”, ha affermato il presidente.
Il capo dello Stato della Federazione ha sottolineato che la Russia ha già aiutato la Bielorussia a riattrezzare gli aerei. Inoltre, il sistema missilistico Iskander è stato consegnato a Minsk. Putin ha osservato che avrebbero dispiegato armi senza violare gli obblighi previsti dal TNP (Trattato di non proliferazione nucleare, ndr).
Secondo il presidente russo, citato da Ria novosti la ragione di tale passo è stata l’annuncio del Regno Unito sulla fornitura di munizioni all’Ucraina con uranio impoverito. Allo stesso tempo, Putin ha osservato che la Bielorussia ha chiesto a lungo di ospitare armi nucleari russe sul suo territorio. il presidente ha aggiunto che Mosca sta facendo quello che gli Stati Uniti fanno da decenni.
“Non trasferiamo. E gli Stati Uniti non trasferiscono ai loro alleati. Noi, in linea di principio, stiamo facendo tutto ciò che loro hanno fatto per decenni. Hanno alleati in alcuni paesi e addestrano i loro vettori e gli equipaggi. Faremo lo stesso. Questo è esattamente ciò che ha chiesto Alexander Grigoryevich (Lukashenko, ndr)”, ha detto Putin.
Il capo dello Stato della Federazione russa ha osservato che le munizioni all’uranio impoverito che l’Occidente trasferirà a Kiev non appartengono ad armi di distruzione di massa, ma in qualche modo creano polvere radioattiva e sono quindi considerate molto pericolose. Secondo lui, se vengono utilizzate, le aree saranno inevitabilmente inquinate, il che creerà un pericolo sia per i residenti locali che per l’ambiente.
Martedì, il vice-ministro della Difesa britannico Annabell Goldie ha dichiarato che Londra , oltre ai carri armati Challenger 2, trasferirà munizioni alle forze armate ucraine, compresi proiettili perforanti contenenti uranio impoverito.
Quando vengono utilizzati proiettili con uranio impoverito, la polvere radioattiva si deposita sul terreno, è estremamente tossica e non può essere decontaminata. L’uso di tali munizioni può portare a focolai di cancro.
Le truppe statunitensi hanno utilizzato l’uranio impoverito durante l’operazione ‘Desert Storm’ nel 1991, durante il bombardamento della Jugoslavia nel 1999 e dopo l’invasione dell’Iraq nel 2003 (ma anche in Somalia, ndr).
Vladimir Putin ha avvertito che la Russia risponderà di conseguenza a tali forniture.
Che cos’è l’uranio impoverito
Spiegazione dal sito del dottor Stefano Montanari, nanopatologo
“Pur accettando il dato di fatto che macchinazioni globali per manipolare la percezione popolare di determinati fenomeni esistono e sono condotti da professionisti abilissimi, io sono sempre abbastanza prudente nell’attribuire a “cosche planetarie” – dalla massoneria all’Opus Dei, dalle Sette Sorelle alle multinazionali del farmaco – tutti i mali del mondo.
Sull’argomento uranio impoverito (comunemente DU, da Depleted Uranium) – qualcosa che mi tocca molto da vicino – però, il sospetto non può non esistere.
Che cosa sia questo DU e come funzioni nelle sue applicazioni sono fatti tutto sommato di grande semplicità, certo più semplici delle regole del baseball o di certi reality show. Eppure la confusione popolare, e non solo popolare, è enorme.
A costo di ripetermi per l’ennesima volta e a costo di semplificazioni su cui qualche addetto ai lavori non perderà occasione di vestire i panni dello snob storcendo il naso, vedrò di chiarire l’argomento. Semplificazioni ho detto, ma niente che non sia scientificamente accettabile.
Che cos’è l’uranio impoverito – L’uranio in quanto tale è un metallo radioattivo che si trova allo stato naturale come ossido o sale in due minerali: la pechblenda e la carnotite. L’elemento esiste principalmente sotto forma di tre isotopi[1]: il 238, che costituisce circa il 99,7% del totale, il 234 che rappresenta una frazione irrisoria, e il 235 che vale circa lo 0,7%.
Perché l’uranio possa essere usato a scopi di produzione energetica o per costruire una bomba atomica occorre aumentare di parecchio la frazione 235, cosa che viene fatta tecnicamente togliendo questo isotopo da grandi quantità di uranio “normale” (formato, come abbiamo visto, da 238 + 235 + 234) e immettendo quel 235 in una quantità relativamente piccola di uranio “normale”. In questo modo, in quella relativamente piccola quantità la proporzione di 235 risulterà molto maggiore, addirittura enorme nel caso della bomba atomica, del suo 0,7% “normale”. Questo è l’uranio arricchito di cui tanto spesso i media hanno parlato a proposito delle centrali nucleari iraniane o di quelle nord-coreane.
Ciò che resta dall’uranio cui è stato sottratto l’isotopo 235 è il cosiddetto uranio impoverito, il DU di cui ci stiamo occupando.
Che cosa si fa con l’uranio impoverito – Spolpato l’uranio del suo prezioso isotopo 235, il problema è: che fare di questo metallo radioattivo ormai inutile sia per fabbricare bombe atomiche sia per spremerne energia?
Per il suo costo bassissimo o addirittura nullo e approfittando del suo altissimo peso specifico (pesa più o meno 19 volte più dell’acqua e circa due terzi più del piombo) si facevano o si fanno ancora, per esempio, contrappesi per ascensori e stabilizzatori sia per scafi da competizione sia per aerei commerciali, oppure si fanno schermi contro le radiazioni dei raggi X o strumenti per le perforazioni petrolifere.
Ma le quantità di rifiuto in ballo sono enormi e questi sbocchi permettono di “smaltire” (virgolette d’obbligo) percentuali minime del totale.
Una maniera tanto truffaldina quanto comune per liberarsi di questo prodotto di scarto imbarazzante è adulterare alcuni minerali come, per esempio, quelli di ferro, ma anche con questo sistema ne restano sempre quantità molto rilevanti. E, allora, ecco che i militari danno una mano.
Usi militari dell’uranio impoverito – Durissimo com’è, il DU si è dimostrato adattissimo per costruire corazze a protezione dei carri armati, ma altrettanto adatto si è dimostrato per fabbricare proiettili.
Il perché è presto detto. Si tratta di un metallo non solo pesantissimo ma, come accennato, dotato di grande durezza e che, dunque, per queste sue caratteristiche penetra molto bene all’interno dei bersagli usuali in guerra. Ma il grande vantaggio è la sua piroforicità, vale a dire la sua capacità di sviluppare un calore elevatissimo (un po’ oltre i 3.000 °C) quando arriva con una velocità sufficiente a sbattere contro il bersaglio. In questo modo la penetrazione è eccellente e l’effetto devastante, che è quanto si cerca in guerra, è enorme.
L’esercito americano fu il primo ad applicare l’uranio ai proiettili, e gli esperimenti risalgono alla fine degli Anni Settanta, come testimoniato da un documento ufficiale che riporta le prove effettuate al poligono di Eglin (Florida).
Ufficialmente l’esercito italiano non ha in dotazioni armi all’uranio impoverito ma, come è noto o come dovrebbe essere noto, sul nostro territorio ci sono zone in cui eserciti che non sono quello italiano e fabbricanti di armi provano prodotti sulla cui natura noi non veniamo informati. Dunque, il sospetto che armi al DU siano usate in Italia appare legittimo. Non così la certezza.
In Sardegna, al Salto di Quirra, da oltre 50 anni esiste il poligono più grande d’Europa e in zona si verificano casi di tumori e di malformazioni fetali sia nell’uomo sia nell’animale che, per quantità e qualità, stanno finalmente attirando l’attenzione (ma si sta già tentando d’insabbiare il tutto). Se è vero che alcuni giornali attribuiscono gli eventi all’uso di armi al DU, nessuno dispone di prove consistenti al proposito.
Che cosa accade quando si usa un proiettile all’uranio impoverito – Fin dalle prime prove i tecnici militari statunitensi si accorsero che l’altissima temperatura sviluppata dall’impatto tra proiettile e bersaglio generava un aerosol di particelle solide volatili di dimensioni estremamente piccole, e altrettanto immediatamente, pur senza averne esperienza, ipotizzarono l’aggressività per la salute di queste polveri che potevano essere facilmente inalate.
Per molti anni, però, quel documento scomparve e le armi al DU cominciarono ad essere impiegate da eserciti che ne negarono, tuttavia, l’uso quando iniziarono a sorgere i primi sospetti. Se ora, a “confessione” avvenuta, sappiamo più di qualcosa degli esperimenti e dei loro risultati pratici da parte delle forze armate USA, poco o nulla si sa per quanto riguarda quello che allora era l’altro schieramento, l’esercito, cioè, che gravitava intorno all’Unione Sovietica.
Dunque, il proiettile parte e colpisce il bersaglio, di solito oggetti chimicamente compositi. Si sviluppa una temperatura molto alta (come detto, poco più di 3.000 °C) e la parte più vicina al punto d’impatto, quella in cui il calore è maggiore, sublima, il che significa che si trasforma da solida in vapore. Questo vapore, però, entra velocemente in contatto con l’atmosfera di gran lunga più fredda e ricondensa sotto forma di particelle solide di dimensioni finissime, sotto il micron (un micron equivale ad un millesimo di millimetro).
Ma mano a mano che ci si allontana dal punto d’impatto, il calore diminuisce. Così, per una certa distanza, la sublimazione sarà solo parziale, fino a che, allontanandosi, la temperatura sarà troppo bassa per far sublimare la materia ma abbastanza alta per formare polveri sottili; non sottili, però, come quelle generate dalla condensazione dei vapori.
Le polveri che si formano hanno caratteristiche particolari. Quelle di condensazione sono sferiche e cave al loro interno e la loro composizione è quella di leghe del tutto casuali. Il motivo di questa casualità di composizione è dovuta al fatto che i vapori constano della scomposizione del materiale che costituisce il bersaglio e di quello di cui è fatto il proiettile e la condensazione avviene tra elementi che s’incontrano in quel momento per caso.
Le polveri formatesi non per condensazione ma per fusione del materiale che costituisce il bersaglio sono meno sottili, sono molto fragili, sono ugualmente sferiche e cave e hanno una composizione che può essere meno casuale e più vicina a quella del bersaglio.
Le polveri che si formano nelle zone più fredde sono, invece, più grossolane e hanno forme irregolari.
Va da sé che più una polvere è piccola per dimensione, più viene facilmente trasportata dagli agenti atmosferici, e questo è quanto accade alle particelle di cui ci stiamo occupando.
In termini di volume l’uranio che entra in queste reazioni è pochissimo e, stante il suo peso specifico estremamente elevato, tende a cadere entro raggi piuttosto ridotti cosicché, dunque, la sua volatilità risulta minima. Dunque, il numero di particelle che non contengono uranio è immenso rispetto a quelle che, in effetti, lo contengono e che, per di più, sono ritrovabili solo nell’intorno dell’impatto.
A complicare un po’ le cose ci stanno le applicazioni presunte di una scoperta fatta negli Anni Trenta da parte di Percy Williams Bridgman, applicazioni che, se effettivamente messe in opera, porterebbero ad ottenere effetti paranucleari, vale a dire in qualche modo simili, seppure in scala parecchio più ridotta, ad un’esplosione atomica. Io non ho intenzione qui di entrare nell’argomento che esula dallo scopo di questo articolo pur se il suo interesse è enorme. Chi vuole saperne di più può guardarsi i filmati di una conferenza tenuta dal professor Emilio Del Giudice il quale, con estrema semplicità e chiarezza, illustra il fenomeno.
Che cosa accade a chi entra in contatto con l’uranio impoverito – La radioattività dell’uranio è nota sin dalla fine dell’Ottocento, e che la radioattività sia dannosa all’organismo è fatto universalmente noto su cui non vale la pena perdere tempo.
Occorre riferire, però, che non risultano (sempre che i dati non siano taroccati, cosa impossibile da escludere) malattie a carico di chi fabbrica le armi al DU, e noi, che di biopsie patologiche di militari reduci da teatri di guerra ne abbiamo controllate all’incirca duecento, non vi abbiamo mai trovato tracce di radioattività. Per sicurezza, abbiamo anche fatto ripetere quel tipo d’indagine su diversi campioni all’Università della Tuscia ottenendo lo stesso risultato.
Quello, invece, che si trova in quei reperti è altro.
A cavallo tra il 1997 e il 1998 noi scoprimmo che le polveri sottili ed ultrasottili solide, inorganiche, insolubili e non biodegradabili possono entrare nell’organismo sia per inalazione sia per ingestione dopo essere cadute su frutta, verdura e cereali. Inalate o ingerite che siano, queste particelle entrano con grande velocità nel sangue per essere trasportate in ogni distretto dell’organismo. Già nel sangue, almeno in una frazione della popolazione, le nanoparticelle inducono la formazione di trombi, cioè di coaguli di sangue. Raggiunta la loro meta, impossibile da determinare a priori, queste vengono imprigionate dall’organo bersaglio per non essere mai più eliminate, non disponendo il nostro organismo di alcun meccanismo utile allo scopo.
Corpi estranei che sono, dopo essersi concentrate in determinati punti dell’organo nel quale sono finite, le particelle provocano la classica reazione infiammatoria con l’induzione conseguente della formazione di un tessuto (tessuto di granulazione) che va a circondarle. A questo punto, così come descritto in centinaia di articoli medici, quel tessuto può trasformarsi in un cancro, il che è esattamente ciò che noi vediamo nelle biopsie dei militari. E che il cancro abbia tra le sue origini le forme infiammatorie è un fatto ampiamente assodato.
Il motivo per cui non si trova uranio nelle particelle individuate nei tessuti patologici è quello di cui dicevo sopra: l’uranio è pochissimo e cade molto vicino al bersaglio senza entrare in grande stile atmosfera e, dunque, senza essere inalato né ingerito perché frutta, verdura e cereali non sono più coltivati intorno al punto d’esplosione, se mai lo erano prima. Le polveri di composizione casuale, invece, sono in grado di coprire parecchi chilometri e, per questo, di entrare anche in organismi di persone che si trovano relativamente lontane dal luogo in cui è avvenuta l’azione bellica.
Insomma: l’uranio non è l’assassino ma il mandante. Da qui nasce una grande confusione, perché l’uranio non si trova nei reperti patologici e, dunque, viene scagionato da chi non conosce la catena degli eventi o finge di non conoscerla. Deve essere chiaro, invece, che l’uranio è all’origine del fenomeno e, se non se ne trovano tracce nei campioni di tessuto è proprio per le sue proprietà chimico-fisiche.
Si deve aggiungere, però, che esistono altri materiali che possiedono caratteristiche tutto sommate analoghe a quelle del DU. Tra queste il tungsteno, un metallo che, addirittura, innesca temperature intorno ai 5.000 °C ma che viene usato pochissimo almeno per due motivi: costa caro e non è un buon penetratore”.