I separatisti filo-russi della sedicente Repubblica di Donetsk hanno consegnato stanotte agli esperti malesi le due scatole arancioni del Boeing MH17 della Malaysia Airlines, che giovedi scorso è stato abbattuto da un missile sopra i cieli dell’Ucraina orientale. I ribelli hanno annunciato il cessate il fuoco nel raggio di 10 km dal luogo dell’incidente per facilitare l’inchiesta dell’Organizzazione per la Cooperazione e la Sicurezza Europea (Osce) sulle cause della tragedia.
La consegna dei Flight Data Recorder alle autorità malesi è avvenuta nel quartier generale dei ribelli a Donetsk davanti a molti giornalisti. “Abbiamo deciso di dare le “scatole arancioni” nelle mani degli esperti della Malesia”, ha detto l’autoproclamato “premier” dei ribelli, Alexander Boradai, informando anche del cessate il fuoco nei pressi di Hrabova.
Borodai ha anche annunciato che il treno coi vagoni refrigerati dentro cui sono state riposti i resti delle vittime è arrivato a Donetsk. Il treno proseguirà per Kharkiv, distante circa 300 km. Il treno sarà consegnato per gli atti di rito agli esperti malesi ed a una delegazione olandese. A Kharkiv è stato creato un centro temporaneo che servirà ai medici dei due paesi per i primi esami e predisporre tutto il necessario per il loro trasferimento in Olanda.
Entrambe le parti hanno quindi firmato il documento che conferma l’atto di trasferimento di registratori e cadaveri. Il colonnello Mohamed Sakri del Consiglio di Sicurezza della Malesia ha riconosciuto che i due Flight Data Recorder “sono intatte e in buone condizioni, anche se leggermente danneggiate per via del terribile impatto”. Dalle registrazioni potranno emergere maggiori dettagli sulle cause del disastro, anche se gli esperti sottolineano che dall’audio “sarà difficile determinare se l’aereo è stato colpito da un missile” come sospettano gli Stati Uniti e altri Paesi.
Intanto Lorenzo Cremonesi, inviato del Corriere della Sera ha intervistato un ribelle a Torez che conferma i sospetti occidentali che lo “shot down” del Jet è stato causato da un missile dei separatisti. «Abbiamo colpito un aereo di Kiev, ci hanno detto i nostri capi: pensavamo di affrontare i piloti ucraini atterrati col paracadute e ci siamo imbattuti in cadaveri di civili». Il soldato, che non ha fornito nome e grado ha detto ancora che «giovedì pomeriggio i nostri comandanti ci hanno ordinato di salire sui camion con armi e munizioni in quantità”.
“Pochi minuti prima, forse dieci, avevano udito un grosso scoppio nel cielo. Abbiamo appena colpito un aereo dei fascisti di Kiev, ci hanno detto, ingiungendoci di fare attenzione per il fatto che c’erano informazioni per cui almeno una parte dell’equipaggio si era lanciato con i paracadute. Erano stati visti oggetti bianchi tra le nuvole. Forse avremmo dovuto combattere per catturarli», spiega il soldato”.
[flagallery gid=4]”I corpi raccolti sono 282 (ne mancano all’appello 16), il quarto vagone resta aperto per raccogliere gli ultimi. Il soldato – scrive ancora Cremonesi nel suo reportage – insiste nello specificare che la zona resta tranquilla. «Stiamo facendo bene il nostro mestiere. Anche i commissari europei hanno dichiarato che i corpi sono conservati in modo soddisfacente, all’interno dei vagoni la temperatura è mantenuta tra lo zero e i meno cinque gradi», esclama”.
“Quindi prosegue nel racconto riferito al giorno della tragedia: «Con i miei soldati cercavo di individuare i paracadute sul terreno e sugli alberi. A un certo punto, ho visto brandelli di tela in una radura. Li ho sollevati e ho trovato il corpo di una bambina che avrà avuto non più di cinque anni. Il viso era rivolto verso terra. È stato terribile. Allora ho capito che quello era un aereo civile. Non militare. E questi erano tutti morti civili. Un gruppo di valigie scoperchiate non ha fatto che confermare la scoperta». Da allora la «Olpot» (roccaforte) è sempre rimasta sul luogo della tragedia”.
“All’inizio come prima squadra di individuazione dei cadaveri, poi per fare la guardia ai rottami dell’aereo malese, infine come sentinella ai vagoni-obitorio. Eppure i suoi miliziani non sembrano avere alcun senso di colpa e contraddicono il capo fornendo la versione ufficiale. «Ovvio che non siamo stati noi ad abbattere l’aereo. Non disponiamo di missili capaci di sparare tanto in alto. Questo è un crimine commesso dai banditi che obbediscono al governo di Kiev. Facilmente è stato un loro caccia ad abbattere il Boeing delle linee aeree malesi», commentano”.
Finora è scambio di accuse reciproche tra Russia e Occidente. Non sapremo come andrà a finire questa storia. I separatisti tra comunicati e smentite sembrano confermare l’ipotesi che ad abbattere il Jet malesiano siano stati loro. Per loro stessa ammissione, prima con le telefonate intercettate poi con le loro dichiarazioni spontanee ai media.