“L’Ue ha bisogno di tutta la sua potenza di fuoco” nella risposta alla crisi economica generata dal coronavirus, “nello specifico attraverso l’emissione di titoli comuni”. Lo dice il premier Giuseppe Conte in un’intervista alla Sueddeutsche Zeitung. Il presidente del Consiglio sottolinea che “viviamo il più grande shock dalla guerra” e “a questo anche l’Europa deve dare una risposta”.
Molti Paesi europei hanno guardato finora soltanto ai propri vantaggi, la Germania ha “un bilancio commerciale superiore a quanto prevedano le regole dell’Ue” e con questo surplus non opera da locomotiva bensì da “freno per l’Europa”.
“Il Mes in Italia ha una cattiva fama”, spiega Giuseppe Conte. “Non abbiamo dimenticato che ai greci, nell’ultima crisi finanziaria, sono stati richiesti sacrifici inaccettabili perché ottenessero i crediti”.
“È indiscutibile: l’Italia è stata lasciata sola”. E’ la risposta del premier a una domanda sulla sensazione degli italiani di essere stati lasciati soli all’inizio della crisi del coronavirus. “Anche Ursula von der Leyen si è scusata per questo a nome dell’Unione europea, nell’Europarlamento. Devo dire che ho molto apprezzato questo gesto”, afferma Conte.
La crescente sfiducia degli italiani nell’Ue “nasce dal fatto che ci sentiamo abbandonati proprio dai Paesi che traggono vantaggi da questa Unione”. “Prendiamo l’esempio dell’Olanda, che con il suo dumping fiscale attrae migliaia di multinazionali, che trasferiscono lì la propria sede, ed ottengono un flusso di entrate fiscali massicce, che vengono sottratte ad altri partner dell’Unione: 9 miliardi di euro ogni anno, come riporta un’analisi di Tax Justice Network”, afferma Conte.
In un’altra intervista uscita stamane su “Il Giornale” il presidente del Consiglio ha fatto sapere che in questa fase delicata non è disposto a mollare Palazzo Chigi per far spazio ad altri nomi che circolano sui media. “Nessun governo tecnico” è all’orizzonte, dice.
Intanto l’ex parlamentare del M5s Alessandro Di Battista al Fatto Quotidiano ribadisce: “L’Italia deve dire no al Mes. Senza di noi la Ue si scioglie. Proveranno a farci indebitare e a metterci all’angolo, ma abbiamo carte da giocare come il rapporto con la Cina”.
“Nel 1998, ad un anno dalla sottoscrizione da parte dei Paesi europei di quel Patto di stabilità che l’Ue ha da poco sospeso e che ha dato inizio all’era dell’austerità, – argomenta Alessandro Di Battista – in Italia vi erano 1381 istituti di cura: 61,3% pubblici e 38,7% privati. Nel 2007, a 10 anni dal Patto, gli istituti sono scesi a 1197: 55% pubblici e 45% privati. Nel 2017 gli istituti di cura sono diventati 1000: 51,8% pubblici e 48,2% privati.
Nel 1980, poco prima del “divorzio” tra Banca d’Italia e Tesoro i posti letto per malati gravi erano 922 ogni 100.000 abitanti. Poi l’inesorabile declino fino ai 275 ogni 100.000 abitanti durante il governo Monti. I tagli alla spesa pubblica, tuttavia, non hanno fermato la crescita esponenziale del nostro debito. Nel 1980 il rapporto debito/Pil era del 58%. Nel 1992 del 90%, nel 1999 del 106%, nel 2011 del 116%, nel 2014 del 131%. Nel 2018 il rapporto tra debito pubblico italiano ed il prodotto interno lordo ha raggiunto il 134,8%.
Ci hanno raccontato che l’austerità servisse per risanare i conti. Non è vero, basta leggere i numeri. L’austerity è una delle tante strategie elaborate dal sistema finanziario mondiale per indebolire gli Stati e costringerli allo smantellamento del welfare state a vantaggio dei privati. Da 30 anni funziona così e, nonostante la tragedia del COVID-19 abbia palesato l’irresponsabilità delle politiche economiche europee in Ue proveranno ad ogni modo a continuare sulla stessa rotta.
Prendiamo le proposte uscite dall’ultimo Eurogruppo. Ad oggi sul piatto ci sono il Sure (un fondo fino a 100 miliardi a sostegno dei disoccupati europei), poi un programma di sostegno economico alle aziende messo in campo dalla Banca europea per gli investimenti (Bei), la linea di credito del Mes da utilizzare esclusivamente per le spese sanitarie ed il possibile Recovery Fund, ovvero un fondo ancora da creare per sostenere la ripresa economica europea e finanziato, a quando pare, con il bilancio Ue. A parte il Recovery Fund, misura ancora work in progress, dall’Eurogruppo sono uscite tutte proposte che aumenteranno i debiti pubblici degli Stati.
Oggi, con la sospensione del Patto di stabilità, l’Ue garantisce ai Paesi membri la possibilità di indebitarsi ma un domani, a crisi sanitaria conclusa, quelle regole torneranno in vigore. E questo è l’obiettivo di Germania, Olanda, Austria ed altri paesi del nord: aumentare i debiti pubblici di tutti i Paesi europei costringendo tra un anno o due al rientro i paesi più esposti, a cominciare dall’Italia.
L’Ue si è sempre comportata in tal modo, cosa ci garantisce che non lo faranno ancora? Se l’Ue (Germania in primis), in una fase sì di crisi economica ma non paragonabile al cataclisma che stiamo vivendo ha distrutto la Grecia solo con l’obiettivo di far razzia dei suoi pochi asset e compiendo la più grande operazione di trasferimento di ricchezze da un paese povero verso i paesi più ricchi che l’Europa abbia mai visto, chi ci garantisce che questo modus operandi non avverrà ancora? I prestiti fatti alla Grecia – in cambio dei quali Atene ha dovuto privatizzare, affidare la gestione degli aeroporti a Berlino, tagliare il salario minimo ed aumentare l’età pensionabile – non sono finiti nell’economia greca.
Quei denari sono tornati nelle casse degli istituti finanziari francesi e tedeschi i quali detenevano una fetta cospicua di titoli di stato greci. L’Ue ha intubato la Grecia, l’ha tenuta in vita per spolparla giorno dopo giorno per poi costringerla a diventare una zona cuscinetto obbligata ad accogliere migliaia di disperati fuggiti dalle guerre condotte da Washington con la vile compiacenza dell’Unione Europea. L’austerity è come la guerra, c’è chi si arricchisce e chi vive tra le macerie, c’è chi fa business e chi conta i morti. L’austerità è una delle tante armi che ha in mano il neo-liberismo per aggredire gli Stati centrali e l’Ue, per lo meno fino ad oggi, non è stata altro che la continuazione del neo-liberismo con altri mezzi.
L’Italia, contrariamente alla narrazione di Bruxelles, diffusa da molti media nostrani, veri e propri collaborazionisti del sistema finanziario, non è affatto un Paese inaffidabile. L’Italia è il Paese numero uno al mondo per avanzo primario del proprio bilancio degli ultimi 30 anni. Cosa significa? Che nell’ultimo quarto di secolo, al netto degli interessi sul debito che ogni anno paghiamo, l’Italia ha speso sempre meno di quello che ha incassato. Le entrate fiscali sono sempre state superiori alla spesa pubblica.
Conte è un galantuomo, non ho dubbi che abbia a cuore le sorti delle famiglie e delle imprese italiane e neppure che consideri il Mes una trappola da evitare. Gli credo quando dice che l’Italia non intende attivare il Mes. Il punto è che la contrazione del PIL alla quale andremo incontro e l’aumento del debito pubblico che oggi l’Ue “generosamente” ci concede ci porterà verso una spirale dalla quale sarà possibile uscire solo attivando, in futuro, strumenti come il Mes con fortissime condizionalità.
La Germania ha il 62% di rapporto debito-Pil, la Francia il 98,4% e la Spagna il 97,6%. Quello italiano è del 134,8%. Nei prossimi mesi tutti i Paesi europei vedranno aumentare tale rapporto ma nessuno, a parte l’Italia, potrebbe toccare il 160%. E con un rapporto debito-Pil del 160% l’Italia, una volta tornato in vigore il Patto di Stabilità, sarebbe costretta a varare manovre lacrime e sangue.
Noi italiani deteniamo, mediamente, una ricchezza privata molto consistente. Questo perché siamo un popolo oculato al contrario di come ci descrivono. I soldi che abbiamo in banca fanno gola al sistema liberista e l’unico modo che hanno per farci spendere è impoverire il nostro Stato e costringerlo, ancor di più, nella spirale dell’austerità che ha prodotto le maggiori diseguaglianze nella storia dell’umanità”.
Leggi tutto l’intervento sul Fatto