I concorsi pubblici universitari dovevano essere non come recita la costituzione italiana, ma come volevano i “baronetti” delle università che, secondo l’accusa della procura di Firenze, venivano pilotavati per consentire agli aspiranti della loro cerchia di essere inseriti in organico e far parte della “famiglia” o, forse della “cupola”.
Emerge uno spaccato inquietante nello scandalo dei concorsi truccati nelle università italiane la cui inchiesta ha portato 7 docenti universitari agli arresti domiciliari e 22 all’interdizione per un anno. Tra i 59 indagati dell’inchiesta “Chiamata alle Armi”, figura anche Augusto Fantozzi, per due volte ministro e parlamentare della Repubblica italiana.
Tutto nacque qualche anno fa dall’esclusione di un ricercatore, Philip Laroma Jezzi, oggi avvocato e docente all’università di Firenze, che era in concorso per l’abilitazione scientifica nazionale all’insegnamento nel settore del “diritto tributario”. Laroma Jezzi fu escluso, ma non convinto delle delucidazioni avute quando ha chiesto spiegazioni alla commissione giudicatrice si è rivolto ai finanzieri facendo scattare la maxi operazione di oggi.
LE INTERCETTAZIONI
“Non è che non sei idoneo… Non rientri nel patto”, “Non sei in lista”, “ritìrati”, “per mantenerti integra la possibilità di farlo in un secondo momento, e quindi poter ripresentarla alla tornata successiva”. Ma a queste parole il ricercatore tributarista Jezzi Philip Laroma non lo fece, registrò la conversazione col telefonino e denunciò alla guardia di Finanza la sua esclusione da un patto illecito che riguardava accordi fra due studi tributari di Firenze, lo studio Russo e lo studio Cordeiro Guerra, per assecondare il superamento del concorso per l’abilitazione scientifica alla docenza per due propri associati nel 2013. A Laroma, pur con maggiori titoli, venne comunicato di mollare. Entrambi i dominus ora sono indagati nella stessa inchiesta.
I colloqui-chiave di Laroma Jezzi con il professor Pasquale Russo, già ordinario di diritto tributario alla facoltà di Legge di Firenze, anche lui indagato, e con Guglielmo Fransoni, sono tra le prove portate dalla procura. Alle rimostranze del ricercatore – che fu bocciato e che poi con un ricorso al Tar riuscì a ottenere soddisfazione e oggi è professore aggregato all’università di Firenze – il professor Russo spiegava: “Non siamo sul piano del merito, Philip, ognuno ha portato i suoi”.
E sui “criteri” il docente replica che si tratta di “vile commercio dei posti”. “Non siamo sul piano del merito, non siamo sul piano del merito, Philip”, “Smetti di fare l’inglese e fai l’italiano”, “tu non puoi non accettare”, e “che fai? fai ricorso? … però ti giochi la carriera così…”. “Anche io mi son piegato… a certi baratti per poter mandare avanti i miei allievi…”, “ero ingenuo all’inizio” ma “la logica universitaria è questa… è un mondo di merda… è un mondo di merda… quindi purtroppo è un do ut des”. “Non è che si dice – è bravo o non è bravo – no, si fa” così “…questo è mio, questo è tuo, questo è tuo”.
Tale tipo di accordo corruttivo in ambito universitario, rileva il gip di Firenze Angelo Pezzuti nell’ordinanza è giudicato “normale anche da eminenti professori esterni alla commissione” del Miur quali Augusto Fantozzi, Pietro Boria, Andrea Fedele, Leonardo Perrone e Eugenio Della Valle, “quando il primo rivolto agli altri in una cena del 9 giugno 2014 ha detto: “Se uno fa i concorsi così non ci sarà mai un minimo di … perché naturalmente nessuno ha la responsabilità di niente e ognuno va lì col coltello alla gola e dice ‘O mi dai quello o’ … quindi voi capite…”. L’ex ministro definisce questo gruppo, seppur scherzosamente, “la nuova cupola”.
Particolarmente significativa, scrive sempre il gip Pezzuti nella sua ordinanza, una conversazione intercettata nel 2015 agli indagati Francesco Tesauro e Adriano Di Pietro dove Tesauro dice in riferimento a circostanze precedenti: “Ma lì poi… anche se io mi dimisi abbastanza presto… avevamo concordato chi doveva passare e chi non doveva passare”.