28 Aprile 2024

Onu, Lavrov: “Le ingerenze degli Stati Uniti hanno portato a instabilità globale”

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Sergej Lavrov alle Nazioni Unite

Ecco l’intervento sull’Ucraina del ministro degli esteri russo Sergey Lavrov al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, 20 settembre 2023

“Signor Presidente,

Signor Segretario Generale,

Colleghi,

L’ordine internazionale esistente è stato costruito sulle rovine e sulla colossale tragedia della Seconda Guerra Mondiale. La sua base era la Carta delle Nazioni Unite, la fonte principale del moderno diritto internazionale. In gran parte grazie alle Nazioni Unite, è stato possibile prevenire una nuova guerra mondiale, irta di un disastro nucleare.

Purtroppo, dopo la fine della Guerra Fredda, l’“Occidente collettivo”, guidato dagli Stati Uniti, ha assunto arbitrariamente il rango di arbitro dei destini dell’intera umanità e, sopraffatto da un complesso di esclusivismo, ha ignorato sempre più l’eredità dei padri fondatori dell’ONU.

Oggi, l’Occidente si rivolge selettivamente alle norme e ai principi statutari, caso per caso, esclusivamente in conformità con le sue egoistiche esigenze geopolitiche. Ciò porta inevitabilmente a un deterioramento della stabilità globale, all’esacerbazione di quelle esistenti e all’alimentazione di nuove fonti di tensione. Crescono anche i rischi di conflitti globali. E’ proprio per fermarli, per indirizzare gli eventi in una direzione pacifica, che la Russia ha insistito e insiste affinché tutte le disposizioni della Carta delle Nazioni Unite siano rispettate e applicate non in modo selettivo, ma nella loro interezza e interconnessione, compresi i principi di uguaglianza sovrana degli Stati, la non ingerenza nei loro affari interni, il rispetto dell’integrità territoriale e il diritto dei popoli all’autodeterminazione. Le azioni degli Stati Uniti e dei loro alleati indicano uno squilibrio sistematico rispetto ai requisiti sanciti dalla Carta.

Dopo il crollo dell’URSS e la formazione al suo posto di Stati indipendenti, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno interferito in modo brutale e aperto negli affari interni dell’Ucraina. Come ha ammesso pubblicamente e persino con orgoglio il vice segretario di Stato americano Victoria Nuland alla fine del 2013, Washington ha speso 5 miliardi di dollari per allevare politici obbedienti all’Occidente a Kiev.

Tutti i fatti della “ingegneria” della crisi ucraina sono noti da tempo, ma si cerca in tutti i modi di metterli a tacere, di “cancellare” l’intera storia precedente al 2014. Pertanto, il tema dell’incontro odierno, proposto dal Presidenza albanese, è molto opportuna e ci consente di ricostruire la catena cronologica degli eventi, e in particolare nel contesto dell’atteggiamento dei principali attori nei confronti dell’attuazione dei principi e degli scopi della Carta delle Nazioni Unite.

Nel 2004-2005 l’Occidente, per portare al potere un candidato filoamericano, ha sancito il primo colpo di Stato a Kiev, costringendo la Corte Costituzionale ucraina a prendere la decisione illegale di indire un terzo turno elettorale non previsto dalla Costituzione del Paese. Un’ingerenza ancora più senza cerimonie negli affari interni è stata evidente durante il secondo Majdan del 2013-2014. Quindi tutta una serie di viaggiatori occidentali ha incoraggiato direttamente i partecipanti alle manifestazioni antigovernative a intraprendere azioni violente. La stessa Victoria Nuland ha discusso con l’ambasciatore americano a Kiev la composizione del futuro governo che formeranno i golpisti. Per prima cosa, ha sottolineato all’Unione Europea il suo reale posto nella politica mondiale dal punto di vista di Washington. Ricordiamo tutti la sua frase oscena di due parole. E’ significativo che l’Unione Europea abbia “inghiottito” tutto ciò.

Nel febbraio 2014, personaggi selezionati dagli americani sono diventati partecipanti chiave nella sanguinosa presa del potere, organizzata, lasciatemelo ricordare, il giorno dopo che era stato raggiunto un accordo sotto la garanzia di Germania, Polonia e Francia tra il presidente legalmente eletto dell’Ucraina Viktor Janukovič e i leader dell’opposizione. Il principio di non ingerenza negli affari interni è stato calpestato più volte.

Subito dopo il colpo di Stato, i golpisti dichiararono che la loro priorità assoluta era limitare i diritti dei cittadini ucraini di lingua russa. E gli abitanti della Crimea e del sud-est del paese, che hanno rifiutato di accettare i risultati della presa del potere incostituzionale, sono stati dichiarati terroristi e contro di loro è stata lanciata un’operazione punitiva. In risposta a ciò, la Crimea e il Donbass hanno tenuto referenda nel pieno rispetto del principio di uguaglianza e autodeterminazione dei popoli, sancito dal paragrafo 2 dell’articolo 1 della Carta delle Nazioni Unite.

Diplomatici e politici occidentali, in relazione all’Ucraina, chiudono un occhio su questa importantissima norma del diritto internazionale nel tentativo di ridurre l’intero contesto e l’essenza di ciò che stava accadendo all’inammissibilità della violazione dell’integrità territoriale. A questo proposito, vorrei ricordare: la Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1970 sui principi del diritto internazionale concernenti le relazioni amichevoli e la cooperazione tra gli Stati in conformità con la Carta delle Nazioni Unite, adottata all’unanimità, stabilisce che il principio del rispetto dell’integrità territoriale si applica a quegli Stati che rispettino nelle loro azioni il principio di uguaglianza e di autodeterminazione dei popoli e, di conseguenza, che abbiano governi che rappresentino tutte le persone che vivono in un dato territorio”. Il fatto che i neonazisti ucraini che presero il potere a Kiev non rappresentassero la popolazione della Crimea e del Donbass non richiede prove. E il sostegno incondizionato da parte delle capitali occidentali alle azioni del regime criminale di Kiev non è altro che una violazione del principio di autodeterminazione a seguito di una grave ingerenza negli affari interni.

L’adozione di leggi razziste che vietano tutto ciò che è russo – istruzione, media, cultura, distruzione di libri e monumenti, messa al bando della Chiesa ortodossa ucraina e sequestro delle sue proprietà, avvenuta in seguito al colpo di Stato, durante il regno di Pëtr Porošenko e poi di Vladimir Zelenskij è diventata una provocatoria violazione del paragrafo 3 dell’articolo 1 della Carta delle Nazioni Unite sul rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali per tutti, senza distinzione di razza, sesso, lingua e religione. Per non parlare del fatto che queste azioni contraddicono direttamente la Costituzione dell’Ucraina, che stabilisce l’obbligo dello Stato di rispettare i diritti dei russi e delle altre minoranze nazionali.

Quando sentiamo gli appelli ad attuare la “formula di pace” e a riportare l’Ucraina ai confini del 1991, sorge la domanda: coloro che lo chiedono hanno familiarità con le dichiarazioni della leadership ucraina su ciò che faranno con gli abitanti dei territori corrispondenti? Vengono ripetutamente minacciati pubblicamente, a livello ufficiale, di sterminio legale o fisico. L’Occidente non solo non frena i suoi protetti a Kiev, ma incoraggia anche con entusiasmo le loro politiche razziste.

Allo stesso modo, i membri dell’UE e della NATO incoraggiano da decenni le azioni di Lettonia ed Estonia volte a violare i diritti di centinaia di migliaia di residenti di lingua russa, chiamati “non cittadini”. Ora stanno discutendo seriamente dell’introduzione della responsabilità penale per l’uso della loro lingua madre. Funzionari di alto rango affermano ufficialmente che la diffusione di informazioni sulla possibilità che gli studenti locali seguano programmi di scuola a distanza russi dovrebbe essere considerata quasi una minaccia alla sicurezza nazionale e richiede l’attenzione delle forze dell’ordine.

Ritorno all’Ucraina. La conclusione degli accordi di Minsk nel febbraio 2015 è stata approvata da una risoluzione speciale del Consiglio di Sicurezza – nel pieno rispetto dell’articolo 36 della Carta, che sostiene “qualsiasi procedura per la risoluzione di una controversia che sia stata accettata dalle parti”. In questo caso – Kiev, Repubbliche Popolari di Doneck e Lugansk. Tuttavia, l’anno scorso, tutti i firmatari degli accordi di Minsk, tranne Vladimir Putin (Angela Merkel, François Hollande e Pëtr Porošenko), hanno ammesso pubblicamente e anche con piacere che, firmando questo documento, non intendevano attuarlo. Cercavano solo di guadagnare tempo per rafforzare il potenziale militare dell’Ucraina e potenziarlo con armi contro la Russia. In tutti questi anni, l’UE e la NATO hanno sostenuto direttamente il sabotaggio degli accordi di Minsk, spingendo il regime di Kiev a risolvere con la forza il “problema Donbass”. Ciò è stato fatto in violazione dell’articolo 25 della Carta, secondo il quale tutti i membri delle Nazioni Unite sono obbligati a “obbedire e attuare le decisioni del Consiglio di Sicurezza”.

Permettetemi di ricordarvi che nel pacchetto con gli accordi di Minsk, i leader di Russia, Germania, Francia e Ucraina hanno firmato una dichiarazione in cui Berlino e Parigi si impegnano a fare molto, compreso il contributo al ripristino del sistema bancario nel Donbass. Ma non hanno mosso un dito. Hanno semplicemente osservato come, contrariamente a tutti questi obblighi, Pëtr Porošenko abbia dichiarato il blocco commerciale, economico e dei trasporti del Donbass. Nella stessa dichiarazione, Berlino e Parigi si sono impegnate a promuovere il rafforzamento della cooperazione trilaterale nel formato UE-Russia-Ucraina per risolvere concretamente le questioni che preoccupano la Russia nel campo del commercio, nonché a promuovere “la creazione di un comune sistema umanitario e spazio economico dall’Atlantico all’Oceano Pacifico”. Questa dichiarazione è stata approvata anche dal Consiglio di Sicurezza ed è stata sottoposta ad attuazione ai sensi del citato articolo 25 della Carta delle Nazioni Unite. Ma questo impegno dei leader di Germania e Francia si è rivelato un “vuoto a perdere”, un’altra violazione dei principi statutari.

Il leggendario ministro degli Affari esteri dell’URSS Aleksej Gromyko ha giustamente osservato più di una volta: “dieci anni di negoziati sono meglio di un giorno di guerra”. In seguito a questo patto abbiamo negoziato per molti anni, cercato la conclusione di accordi nel campo della sicurezza europea, approvato l’Atto istitutivo Russia-NATO, adottato le dichiarazioni OSCE sull’indivisibilità della sicurezza al massimo livello nel 1999 e nel 2010, e dal 2015 abbiamo insistito sull’attuazione incondizionata degli accordi di Minsk scaturiti dai negoziati. Il tutto nel pieno rispetto della Carta delle Nazioni Unite, che impone di “assicurare condizioni di equità e di rispetto degli obblighi derivanti dai trattati e da altre fonti del diritto internazionale”. I nostri colleghi occidentali hanno calpestato questo principio quando hanno firmato tutti questi documenti, sapendo in anticipo che non li avrebbero rispettati.

A proposito di trattative. Non le rifiutiamo nemmeno adesso. Il presidente russo Vladimir Putin ne ha parlato molte volte, anche di recente. Vorrei ricordare all’illustre Segretario di Stato che il presidente dell’Ucraina Vladimir Zelenskij ha firmato un decreto che vieta i negoziati con il governo di Vladimir Putin. Se gli Stati Uniti sono così interessati a loro, penso che non sarà difficile per loro “dare un comando” affinché il decreto di Vladimir Zelenskij venga annullato.

Oggi nella retorica dei nostri avversari sentiamo solo slogan: “invasione, aggressione, annessione”. Non una parola sulle cause profonde del problema, su come per molti anni abbiano alimentato un regime apertamente nazista che ha apertamente riscritto i risultati della Seconda Guerra Mondiale e la storia del suo stesso popolo. L’Occidente evita un dialogo sostanziale basato sui fatti e sul rispetto di tutti i requisiti della Carta delle Nazioni Unite. A quanto pare, non ha argomenti per un dialogo onesto.

C’è la forte impressione che i rappresentanti occidentali abbiano paura delle discussioni professionali che smascherano la loro demagogia. Mentre pronunciano incantesimi sull’integrità territoriale dell’Ucraina, le ex metropoli coloniali tacciono sulle decisioni dell’ONU sulla necessità che Parigi restituisca la Mayotte “francese” all’Unione delle Isole Comore e che Londra lasci l’arcipelago delle Chagos e inizi negoziati con Buenos Aires sulle Isole Malvinas. Questi “sostenitori” dell’integrità territoriale dell’Ucraina ora fingono di non ricordare il significato degli accordi di Minsk, che prevedevano la riunificazione del Donbass con l’Ucraina con garanzie di rispetto dei diritti umani fondamentali, in particolare il diritto alla propria lingua madre. L’Occidente, che ne ha ostacolato l’attuazione, è direttamente responsabile del crollo dell’Ucraina e dell’incitamento alla guerra civile nel Paese.

Tra gli altri principi della Carta delle Nazioni Unite, il cui rispetto potrebbe prevenire una crisi di sicurezza in Europa e contribuire a concordare misure di rafforzamento della fiducia basate su un equilibrio di interessi, vorrei menzionare l’articolo 2 del capitolo VIII della Carta. Sancisce la necessità di sviluppare la pratica della risoluzione pacifica delle controversie con l’aiuto delle organizzazioni regionali.

In conformità con questo principio, la Russia, insieme ai suoi alleati, ha costantemente sostenuto l’instaurazione di contatti tra l’Organizzazione-Trattato per la Sicurezza Collettiva, la OTSC, e la NATO per facilitare l’attuazione pratica delle summenzionate decisioni dei vertici OSCE del 1999 e del 2010 sull’indivisibilità della sicurezza, garantendo, in particolare, che “a nessuno Stato, gruppo di Stati o organizzazione può essere attribuita la responsabilità primaria del mantenimento della pace e della stabilità nella regione dell’OSCE o considerare qualsiasi parte di questa regione come la propria sfera di influenza”. Tutti sanno che questo è esattamente ciò che la NATO stava facendo: cercare di creare il suo pieno vantaggio in Europa, e ora nella regione Asia-Pacifico. Tuttavia, numerosi appelli dei massimi organi dell’OTSC all’Alleanza del Nord Atlantico sono stati ignorati. La ragione di una posizione così arrogante degli Stati Uniti e dei suoi alleati, come tutti possono vedere oggi, è la riluttanza a condurre qualsiasi tipo di dialogo paritario con chiunque. Se la NATO non avesse respinto le proposte di cooperazione dell’OTSC, forse ciò avrebbe permesso di evitare molti dei processi negativi che hanno portato all’attuale crisi europea a causa del fatto che per decenni si sono rifiutati di ascoltare la Russia o che hanno ingannato.

Oggi, quando, su suggerimento della Presidenza, discutiamo di “multilateralismo efficace”, non dovremmo dimenticare i numerosi fatti del rifiuto genetico dell’Occidente verso qualsiasi forma di cooperazione paritaria. Consideriamo la perla di Josep Borrell secondo cui l’Europa è “un giardino fiorito circondato dalla giungla”. Si tratta di una sindrome puramente neocoloniale che disprezza l’uguaglianza sovrana degli Stati e i compiti di “rafforzare i principi della Carta delle Nazioni Unite attraverso un multilateralismo efficace”, di cui ci occupiamo oggi.

Nel tentativo di impedire la democratizzazione delle relazioni interstatali, gli Stati Uniti e i loro alleati stanno privatizzando sempre più apertamente e senza tante cerimonie i segretariati delle organizzazioni internazionali, facendo passare, aggirando le procedure stabilite, decisioni sulla creazione di meccanismi ad essi subordinati con mandati non consensuali, ma con la rivendicazione del diritto di incolpare chi per qualche motivo a Washington non piace.

A questo proposito, vorrei ricordarvi la necessità di una rigorosa attuazione della Carta delle Nazioni Unite non solo da parte degli Stati membri, ma anche da parte del Segretariato della nostra organizzazione. Ai sensi dell’articolo 100 della Carta, il Segretariato è tenuto ad agire in modo imparziale e non può ricevere istruzioni da alcun governo.

Abbiamo già parlato dell’articolo 2 della Carta. Vorrei attirare l’attenzione sul suo punto chiave 1: “L’Organizzazione si basa sul principio dell’uguaglianza sovrana di tutti gli Stati suoi Membri”. Sviluppando questo principio, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nella Dichiarazione del 24 ottobre 1970, che ho citato, ha confermato “il diritto inalienabile di ogni Stato a scegliere il proprio sistema politico, economico, sociale e culturale senza interferenze da parte di nessuno”. A questo proposito, abbiamo seri interrogativi sulle dichiarazioni del Segretario generale Antonio Guterres del 29 marzo di quest’anno, quando ha detto che “il governo autocratico non garantisce stabilità, è un catalizzatore di caos e conflitti”, ma “le società democratiche forti sono capaci di autocorrezione e auto-miglioramento. Possono stimolare il cambiamento, anche un cambiamento radicale, senza spargimenti di sangue o violenza”. Vengono alla mente involontariamente i “cambiamenti” portati dalle avventure aggressive delle “democrazie forti” in Jugoslavia, Afghanistan, Iraq, Libia, Siria e molti altri Paesi.

Inoltre, lo stimato Antonio Guterres ha affermato: “Loro (le democrazie) sono centri di ampia cooperazione, radicati nei principi di uguaglianza, partecipazione e solidarietà”. E’ interessante notare che tutti questi discorsi sono stati pronunciati al “vertice per la democrazia” convocato dal presidente Biden al di fuori delle Nazioni Unite, i cui partecipanti sono stati selezionati dall’amministrazione americana sulla base della lealtà – e non tanto verso Washington quanto verso il governo al potere, quello del Partito Democratico negli Stati Uniti. I tentativi di utilizzare tali fora interni per discutere questioni di natura globale contraddicono direttamente il paragrafo 4 dell’articolo 1 della Carta delle Nazioni Unite, che afferma la necessità di “garantire il ruolo dell’Organizzazione come centro di coordinamento delle azioni per il raggiungimento di obiettivi comuni”.

Contrariamente a questo principio, diversi anni fa Francia e Germania hanno proclamato una “alleanza dei multilateralisti”, alla quale hanno invitato solo coloro che sono obbedienti, il che di per sé conferma ancora una volta l’ineluttabilità della mentalità coloniale e l’atteggiamento degli iniziatori rispetto al principio di “multilateralismo efficace”. Allo stesso tempo, veniva propagata una “narrativa” sull’Unione Europea come ideale di quello stesso “multilateralismo”. Ora da Bruxelles arrivano richieste per espandere quanto prima l’adesione all’UE, includendo, in particolare, i Paesi dei Balcani. Ma il pathos principale non riguarda la Serbia, né la Turchia, che conduce da decenni negoziati di adesione senza speranza, ma l’Ucraina. Di recente Josep Borrell, dichiarandosi ideologo dell’integrazione europea, non ha esitato a parlare apertamente nel senso che il regime di Kiev dovrebbe essere accettato nell’Unione Europea il prima possibile. Dicono che se non fosse stato per la guerra ci sarebbero voluti anni, ma questo è possibile e necessario senza alcun criterio. Serbia, Turchia e altri aspetteranno. Ma accettiamo a priori i nazisti nell’UE.

Del resto, nello stesso “vertice per la democrazia” il Segretario Generale ha dichiarato: “La democrazia deriva dalla Carta delle Nazioni Unite. Le prime parole della Carta – “Noi Popoli” – riflettono la fonte fondamentale della legittimità: il consenso di coloro che sono governati”. E’ utile correlare questa tesi con il “track record” del regime di Kiev, che ha lanciato una guerra contro gran parte del suo stesso popolo – contro quei milioni di persone che non hanno acconsentito ad autogovernarsi, contro i neonazisti e i russofobi che hanno preso illegalmente il potere nel Paese e hanno sepolto l’accordo approvato dal Consiglio di Minsk, minando così l’integrità territoriale dell’Ucraina.

Coloro che, contrariamente alla Carta delle Nazioni Unite, dividono l’umanità in “democrazie” e “autocrazie”, farebbero bene a rispondere alla domanda: in quale categoria classificano il regime ucraino? Non mi aspetto una risposta.

Parlando dei principi della Carta, si pone la questione del rapporto tra il Consiglio di Sicurezza e l’Assemblea Generale. Il “collettivo occidentale” promuove in modo aggressivo e da molto tempo il tema dell’“abuso del diritto di veto” ed è riuscito, attraverso pressioni non del tutto corrette sugli altri membri delle Nazioni Unite, a decidere che dopo ogni esercizio di questo diritto, che l’Occidente provoca sempre più deliberatamente, l’argomento corrispondente dovrebbe essere considerato nell’Assemblea Generale. Ciò non rappresenta per noi alcun problema. L’approccio della Russia a tutte le questioni all’ordine del giorno è aperto, non abbiamo nulla da nascondere e non è difficile ribadire questa posizione. Inoltre, il ricorso al veto è uno strumento assolutamente legittimo previsto dalla Carta per impedire l’adozione di decisioni che implicherebbero una spaccatura all’interno dell’Organizzazione. Ma dal momento che la procedura per discutere i casi di veto in seno all’Assemblea Generale è stata approvata, allora perché non pensare alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che non hanno ricevuto il veto, sono state adottate anche molti anni fa, ma non sono mai state attuate, nonostante le disposizioni dell’articolo 25 della Carta. Perché l’Assemblea Generale non dovrebbe considerare le ragioni di questo stato di cose – ad esempio, per quanto riguarda le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza sulla Palestina e sull’intera gamma di problemi del Medio Oriente e dell’Africa, sul Piano d’azione congiunto globale, così come la risoluzione 2202, che ha approvato gli accordi di Minsk sull’Ucraina.

Anche il problema associato ai regimi sanzionatori richiede attenzione. E’ già diventata la norma: il Consiglio di Sicurezza, dopo lunghe trattative – nel rigoroso rispetto della Carta – approva le sanzioni contro un determinato Paese, e poi gli Stati Uniti e i loro alleati introducono restrizioni unilaterali “ulteriori” contro lo stesso Stato che non ha ricevuto l’approvazione del Consiglio di Sicurezza e non è stato incluso nella sua risoluzione come parte del “pacchetto” concordato. In questa stessa serie, un altro esempio lampante è la decisione appena presa da Berlino, Parigi e Londra, attraverso le rispettive norme legislative nazionali, di “estendere” le restrizioni contro l’Iran in scadenza a ottobre, che sono soggette a risoluzione legale in conformità con il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Risoluzione 2231. Cioè, i Paesi europei e la Gran Bretagna dichiarano che la validità della decisione del Consiglio di Sicurezza è scaduta, ma a loro questo non interessa, hanno le loro “regole”.

Tutto ciò rende ancora più urgente considerare la questione di garantire che, dopo che il Consiglio avrà adottato una risoluzione sulle sanzioni, nessuno dei membri delle Nazioni Unite abbia il diritto di svalutarla introducendo proprie restrizioni illegittime contro lo stesso Paese.

E’ anche importante che tutti i regimi di sanzioni sotto il Consiglio di Sicurezza siano limitati nel tempo, poiché la loro natura indefinita priva il Consiglio di flessibilità in termini di influenza sulle politiche dei “governi sanzionati”.

Anche il tema dei “limiti umanitari delle sanzioni” richiede attenzione. Sarebbe giusto che d’ora in poi l’introduzione di eventuali progetti di sanzioni al Consiglio di Sicurezza fosse accompagnata dalla valutazione delle loro conseguenze per i cittadini da parte delle agenzie umanitarie delle Nazioni Unite, e non dalle esortazioni demagogiche dei colleghi occidentali secondo cui “la gente comune non soffrirà”.

Cari colleghi,

I fatti parlano di una profonda crisi delle relazioni internazionali e di una mancanza di desiderio e volontà da parte dell’Occidente di superare questa crisi.

Spero che una via d’uscita da questa situazione esista ancora e venga trovata. Per cominciare, tutti devono rendersi conto della responsabilità per il destino della nostra Organizzazione e del mondo – in un contesto storico, e non dal punto di vista di allineamenti elettorali opportunistici e momentanei nelle prossime elezioni nazionali di un particolare Stato membro. Permettetemi di ricordarvelo ancora una volta: quasi 80 anni fa, firmando la Carta delle Nazioni Unite, i leader mondiali hanno concordato di rispettare l’uguaglianza sovrana di tutti gli Stati: grandi e piccoli, ricchi e poveri, monarchie e repubbliche. In altre parole, già allora l’umanità riconosceva la necessità di un ordine mondiale equo e policentrico come garanzia della sostenibilità e della sicurezza del proprio sviluppo.

Pertanto, oggi non si tratta di sottomettersi a una sorta di “ordine mondiale basato su regole”, ma di adempiere da parte di tutti agli obblighi assunti al momento della firma e della ratifica della Carta nella loro interezza e interconnessione”.

Traduzione testo e video a cura di Mark Bernardini


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