15 Settembre 2025

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Reggio, intimidazione al presidente della Camera di commercio

Il presidente della Camera di Commercio di Reggio Calabria, Antonino Tramontana
Il presidente della Camera di Commercio di Reggio Calabria, Antonino Tramontana

REGGIO CALABRIA – Attentato incendiario la scorsa notte contro il negozio dell’azienda vinicola di proprietà della famiglia del presidente della Camera di commercio di Reggio Calabria, Antonino Tramontana. Il portone d’ingresso del negozio, nel rione “Gallico”, è stato cosparso di benzina e dato alle fiamme. I danni dell’incendio sono ingenti.

Sempre durante la notte scorsa, inoltre, nello stesso rione Gallico, sono stati sparati numerosi colpi di pistola contro le saracinesche di un supermercato. La zona di Gallico è stata teatro negli ultimi mesi di una faida scoppiata dopo l’uccisione del boss Domenico Chirico, esponente di primo piano del raggruppamento mafioso che fa riferimento al boss ergastolano Pasquale Condello, detto “‘u supremu”.

Nei giorni scorsi, inoltre, sette persone erano state arrestate nell’ambito delle indagini sull’omicidio di Giuseppe Canale, un giovane pregiudicato indicato dagli inquirenti come elemento legato alla cosca Condello. Sull’episodio ci sono indagini da parte delle forze dell’ordine.

Raggiunto dai giornalisti, Antonino Tramontana ha fatto sapere di non indietreggiare e non temere queste azioni che anzi rafforzano l’idea che stare dalla parte della legalità in Calabria conviene.  Una valanga di attestazioni di solidarietà giunge intanto all’uomo da ogni parte politica e istituzionale.

La solidarietà di Irto – “Esprimo la mia solidarietà e vicinanza al presidente della Camera di Commercio di Reggio Calabria, Antonino Tramontana, la cui azienda è stata fatta oggetto di un vile atto intimidatorio”, afferma il presidente del Consiglio regionale della Calabria, Nicola Irto, che prosegue: “L’incendio doloso dell’ingresso dell’azienda di cui è titolare Tramontana, uno dei più apprezzati imprenditori del settore vinicolo nella nostra regione, è un fatto grave che va condannato con fermezza. Sono certo che le forze dell’ordine e la magistratura produrranno il massimo sforzo per fare piena luce sull’accaduto”.

‘Ndrangheta, confiscati beni per 6 mln al potente clan Crea

'Ndrangheta, confiscati beni per 6 mln al clan di Teodoro Crea REGGIO CALABRIA – La Polizia di Stato di Reggio Calabria ha dato esecuzione a un provvedimento di confisca di beni per un valore complessivo di 6 milioni contro esponenti del clan Crea, (in particolare a Teodoro Crea, 78enne attualmente al 41 bis) operante nella piana di Gioia Tauro. Il provvedimento, emesso dal locale Tribunale – Sezione Misure di prevenzione, scaturisce da una proposta del Questore di Reggio Calabria, effettuata sulla scorta di un’articolata attività di natura patrimoniale effettuata dalla locale Divisione Anticrimine.

L’attività rappresenta la naturale evoluzione delle indagini, condotte dalla Squadra Mobile di Reg-gio Calabria e coordinate dalla Dda reggina (Operazione “Deus”), a conclusione delle quali, in data 4 giugno 2014, è stata data esecuzione a un’ordinanza, emessa dal Gip presso il Tribunale reggino, con la quale sono state disposte, nei confronti di 16 persone, le misure della custodia cautelare in carcere e degli arresti domiciliari per i reati di associazione di stampo mafioso, estorsione aggravata, intestazione fittizia di beni e truffe alla Comunità europea.

Tra i destinatari del provvedimento restrittivo, oltre a Teodoro Crea classe ’39, capo storico della famiglia, e buona parte del suo nucleo familiare, risultavano anche altri esponenti di spicco della ‘ndrina – quali Antonio Crea detto “u Malandrinu” e Domenico Crea classe ’54, detto “Scarpa Luci-da”, legati da vincoli di parentela con il suddetto capo della consorteria criminale – e tre ex ammini-stratori pubblici del Comune di Rizziconi.

In particolare, l’attività investigativa ha evidenziato l’assoluta egemonia della cosca Crea, esplicata sul territorio come una vera e propria “signoria”, sia nell’esercizio delle tradizionali attività criminali che nel totale condizionamento della vita pubblica, tanto da determinare, nel 2011, lo scioglimento del Consiglio Comunale di Rizziconi.

Inoltre, nel corso delle indagini, è emerso che Giuseppe Crea, classe ’78, nonostante fosse latitante dal 2006, attestava falsamente di essere un imprenditore agricolo, procurandosi così un ingiusto pro-fitto, consistito nell’indebita erogazione da parte dell’Agea dei contributi comunitari relativi Piano di Sviluppo Rurale per oltre 180 mila euro.

Analogo reato è stato contestato al padre Teodoro Crea, alla madre Clementina Burzì e alla sorella Marinella, per contributi pari a quasi 50 mila euro.

Il provvedimento ha interessato svariati beni riconducibili a Teodoro Crea, boss indiscusso dell’omonima cosca – in atto sottoposto al regime del 41 bis – alla moglie, Clementina Burzì, alla figlia Marinella e suo marito, Francesco Barone.

Le indagini patrimoniali hanno dimostrato che i citati soggetti, in virtù della loro appartenenza al clan mafioso, erano riusciti, con il profitto derivante dalla gestione delle attività illecite e avvalen-dosi della forza intimidatrice derivante dal vincolo associativo, ad accumulare un ingente capitale, sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati, che reinvestivano nell’acquisto di terreni, società e beni immobili, intestati, al fine di eludere la normativa antimafia, ai propri familiari o a soggetti terzi.

Il Tribunale di Reggio Calabria – Sezione Misure di Prevenzione, accogliendo le risultanze investigative, ha disposto il sequestro dei seguenti beni:
• edifìcio di pregio, composto da tre appartamenti e 2 locali uso deposito/garage;
• villa di pregio;
• unità immobiliare composta da due abitazioni e un locale uso deposito;
• immobile in corso di costruzione;
• unità immobiliare composta da tre appartamenti e un locale destinato all’esercizio di attività commerciale;
• un appartamento;
• unità immobiliare composta da due stabili adibiti, rispettivamente, a caseifìcio e abitazione;
• 6 fabbricati adibiti a stalle;
• 18 terreni;
• Impresa agricola individuale “BURZI’ Clementina” con sede in Rizziconi (RC);
• titoli AGEA emessi a favore di CREA Marinella.

Il Parco nazionale della Sila rilancia candidatura per Unesco

Parco nazionale della Sila nell'Unesco
Il lago Cecita nel Parco nazionale della Sila

(ANSA) – COSENZA, 20 NOV – Il Parco Nazionale della Sila rilancia la sua candidatura a Sito Patrimonio dell’Umanità Unesco. Giungerà così a conclusione nei prossimi mesi un percorso partito da lontano che ha visto il Parco lavorare instancabilmente per questo riconoscimento. Anche il presidente della Regione Mario Oliverio ha assicurato l’appoggio rimarcando come “il fatto che il Parco Nazionale della Sila sia uno dei gioielli della nostra splendida regione noi calabresi già lo sappiamo.

Ma questa conoscenza va diffusa nel resto del mondo e, con questo in mente, per il Parco riuscire ad ottenere il riconoscimento come Sito Patrimonio dell’Umanità Unesco sarebbe l’equivalente di una promozione in serie A. Questo richiede un lavoro di squadra e la Presidenza della Regione Calabria è pronta a scendere in campo. Da parte mia, in quanto Presidente della Regione, posso solo garantire che farò tutto il possibile per aiutare il Parco della Sila a conquistare ufficialmente un riconoscimento che per quanto mi riguarda so già che merita”.

La Mafia “democratica” eleggeva gli uomini d’onore, 27 arresti

Giuseppe Greco intercettazioni contro clan di Santa Maria di Gesù

Era un’organizzazione mafiosa moderna e vigorosa quella di Santa Maria di Gesù, il clan palermitano sgominato stamane dal Ros, che arrivava persino ad eleggere, in modo che si può definire “democratico”, reggenti, capi, sottocapi e gregari con un sistema che prevedeva anche la campagna elettorale. Al termine, c’era lo spoglio e chi aveva ottenuto più consensi si accaparrava ruoli da “uomini d’onore”. Una formula inedita che aveva molte similitudini con le vere elezioni politiche e il modus di campagna elettorale dei partiti.

Ci sono anche questi particolari nell’inchiesta della Dda di Palermo con cui stamane i Carabinieri del Ros e i colleghi del Comando provinciale palermitani hanno sgominato la cellula mafiosa di Santa Maria di Gesù, eseguendo 27 misure cautelari tra carcere e arresti domiciliari emesse dal gip su richiesta della Procura distrettuale antimafia di Palermo. Il gruppo è accusato di aver commesso per il clan estorsioni, traffici di droga, rissa, furto, trasferimento fraudolento di valori ed esercizio abusivo di attività di gioco o di scommessa.

Nella circostanza è stato sottoposto a sequestro preventivo un bar, con inclusa attività di esercizio delle scommesse, ubicato in Palermo e del valore di 200.000 euro.

Le indagini sul Mandamento di Santa Maria di Gesù

L’operazione, denominata Falco, scaturisce da un’ulteriore fase di una articolata manovra investigativa avviata nel 2011 dal Ros sul mandamento mafioso di Santa Maria di Gesù – Villagrazia e che, sviluppata progressivamente con le indagini Torre dei Diavoli, Brasca e Bingo Family, ha consentito di documentarne la perdurante operatività e di individuarne i vertici e gli appartenenti.

In particolare con l’attività investigativa Torre dei Diavoli, conclusa l’11 dicembre 2015 con l’esecuzione di un provvedimento di fermo emesso dalla Dda di Palermo nei confronti di 6 indagati, cui seguiva una ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di 10 indagati, è stato accertato il coinvolgimento di alcuni degli odierni indagati (Natale Giuseppe Gambino, Salvatore Profeta, Antonino Profeta, Francesco Pedalino, Gabriele Pedalino e Lorenzo Scarantino) nell’agguato mortale consumato il 3 ottobre 2015 ai danni di Salvatore Sciacchitano, con contestuale ferimento di Antonino Arizzi. Nonché il ruolo di reggente assunto da Giuseppe Greco all’interno della famiglia mafiosa di Santa Maria di Gesù.

Con l’indagine Brasca, conclusa il 16 marzo 2016 con l’emissione di un provvedimento cautelare nei confronti di 62 indagati, è stato disvelato l’organigramma mandamentale con al vertice l’allora in vita Mario Marchese, alias Mariano, mentre con l’attività investigativa Bingo Family, conclusa l’1 luglio 2016 con l’ordinanza di misura cautelare nei confronti di 3 indagati sono state accertate le condotte estorsive aggravate dal metodo mafioso ai danni dei responsabili di una importante sala Bingo del capoluogo, perpetrate dall’odierno indagato Cosimo Vernengo classe ‘64, dal fratello Giorgio Vernengo e da Paola Durante.

L’indagine Falco

Le attività tecniche svolte nell’ambito dell’indagine Falco hanno consentito di individuare con precisione ruoli, gerarchie, dialettiche e controversie della famiglia mafiosa di Santa Maria di Gesù, nonché di documentare diversi reati fine commessi dagli indagati.
La complessiva analisi delle acquisizioni ha permesso di evidenziare che gli associati hanno curato la riorganizzazione dell’articolazione mafiosa e le relative elezioni dei vertici; profuso ogni sforzo al fine di ottenere un ferreo e penetrante controllo del territorio; fatto ricorso sistematico alla violenza quale strumento per la realizzazione degli obiettivi dell’associazione; operato al fine di ottenere un completo assoggettamento alla pratica estorsiva delle varie entità economico-commerciali del territorio; provveduto a svolgere attività di sostegno e mutua assistenza ai sodali, compresi i detenuti, attraverso la distribuzione dei proventi delittuosi.

Il processo di riorganizzazione e il “sistema elettorale mafioso”

L’odierna indagine ha consentito di riscontrare l’intero processo di riorganizzazione della famiglia di Santa Maria di Gesù che vede tra gli affiliati Giuseppe Greco (già condannato per associazione mafiosa, tratto in arresto dal Ros con l’indagine Torre dei Diavoli quale reggente della citata famiglia), Gaetano Messina (consigliere della famiglia), Natale Giuseppe Gambino (sottocapo), Salvatore Profeta (di fatto consigliere del reggente), Antonino Profeta, Giuseppe Contorno, Francesco Pedalino (capo decina), Cosimo Vernengo classe 64, Cosimo Vernengo classe ‘66, Salvatore Lo Iacono, Salvatore Gregoli e Girolamo Mondino.

In particolare è stata documentata un’attività tipica di Cosa nostra, in passato descritta soltanto dai primi collaboratori di Giustizia, ovvero l’elezione dei rappresentanti mediante un sistema elettivo a cui hanno aderito tutti gli uomini d’onore della famiglia.

Attraverso lo stretto monitoraggio degli affiliati, a settembre del 2015 sono state documentate le fasi precedenti, concomitanti e successive ad una importante riunione svoltasi il 10 settembre 2015 presso un ristorante palermitano durante la quale sono state formalizzate le cariche interne della famiglia di Santa Maria di Gesù.

Alla presenza di almeno 12 uomini d’onore, Giuseppe Greco veniva confermato reggente mentre Natale Giuseppe Gambino e Gaetano Messina divenivano rispettivamente sottocapo e consigliere.

Ottenevano invece la carica di capodecina sia Francesco Pedalino che Mario Taormina. Antonino Profeta, pur in assenza di un incarico formale, veniva presentato come rappresentante di Giuseppe Greco mentre Salvatore Profeta sceglieva di non concorrere per alcun ruolo sia per l’età avanzata che per non sottrarre posti ai citati sodali.

Le acquisizioni in ordine alla documentazione delle fasi delle elezioni del reggente (definito “il principale”) rappresentano un dato assolutamente inedito nel panorama investigativo, poiché la vigenza di tale pratica era emersa soltanto nei riferimenti dei primi collaboratori di Giustizia degli anni ’80 (Tommaso Buscetta, Vincenzo Marsala, Salvatore Contorno e Francesco Marino Mannoia).

Le procedure di elezione, ad imitazione delle vere competizioni politiche, sarebbero tuttora basate su una preliminare attività di propaganda a favore dei candidati, anche se in realtà non vi sarebbe stato nella circostanza un vero e proprio antagonista alla figura di Giuseppe Greco che, in funzione della carica di reggente già assunta, avrebbe ottenuto da subito il consenso degli affiliati più autorevoli, tra i quali lo stesso Salvatore Profeta il quale si è offerto di appoggiare Giuseppe Greco probabilmente per la sua parentela con il collaboratore Vincenzo Scarantino, certamente ingombrante, e per via dell’età avanzata.

Dopo l’attività di propaganda è stata disvelata la vera e propria elezione. In sintesi essa è avvenuta attraverso il voto di tutti gli affiliati che esprimerebbero la preferenza a scrutinio palese (“ad alzata di mano… per vedere l’amico”) anche se nel passato si ricorreva ad urne consegnate ai capodecina per la raccolta tra i soldati.

La procedura elettiva avverrebbe oggi solo per le cariche di capofamiglia/reggente e consigliere, mentre le nomine per i ruoli di sottocapo e capodecina sarebbero riservate allo stesso principale in precedenza eletto.

Se la base dell’organizzazione esprimerebbe i vertici, il capofamiglia/reggente designerebbe a suo insindacabile giudizio i propri collaboratori. Secondo tale principio si inquadra l’assegnazione a Antonino Profeta di un incarico fiduciario al di fuori delle funzioni tradizionali ed alle dirette dipendenze del vertice che l’avrebbe autorizzato ad eludere le rigide regole della gerarchia mafiosa e l’obbligo di informazione dei quadri immediatamente superiori.

Il quadro investigativo si è arricchito di interessanti riferimenti al periodo precedente la 2a guerra di mafia allorquando le elezioni costituivano un mero fatto formale, essendo la carica di capofamiglia (e capomandamento) di pertinenza esclusiva dello storico esponente Stefano Bontate inteso il principe di Villagrazia o il Falco, poi ucciso il 23 aprile ‘81.

Il ricordo della assoluta autorità di Bontate, benché vittima del tradimento dei suoi stessi collaboratori schieratisi con i corleonesi, si è rivelata circostanza ancora presente a distanza di molti anni tra gli attuali indagati che hanno stigmatizzato come “il generale non ne ha vinto mai guerra senza soldati”, esaltando la forza della famiglia come entità (tutti siamo utili e nessuno è… indispensabile!) in grado di imporsi all’interno ed all’esterno (l’unica legge che conosci tu… è quella del più forte!).

Il riordino dell’organizzazione era divenuto necessario dopo l’eliminazione violenta nel settembre 2011 di Giuseppe Calascibetta, a seguito di contrasti nella cattiva gestione della cassa comune, con la contestuale carica protempore assunta da parte di Giuseppe Greco.

Le fasi di fibrillazione registrate in quel frangente avevano determinato la necessità di una formalizzazione dello status quo, al fine di legittimare i rapporti di forza interni alla famiglia.

In tale ottica era imprescindibile l’esigenza di palesare la capacità di estrinsecazione della forza da parte del gruppo di vertice, al fine sia di congelare la posizione di supremazia annichilendo eventuali oppositori sia di riaffermare il controllo sul territorio di influenza, punendo anche iniziative di soggetti legati alla medesima compagine mafiosa senza che fossero preventivamente autorizzate.

In merito sono stati documentati violenti atti intimidatori, sfociati in risse e financo in un omicidio. In tal senso è stato accertato il pieno coinvolgimento dell’articolazione mafiosa nell’agguato mortale consumato ai danni di Salvatore Sciacchitano, ucciso il 03.10.2015 in quanto reo di aver partecipato, solo poche ore prima ed in compagnia di Francesco Urso (figlio e nipote degli uomini d’onore Giuseppe Urso inteso Franco e Cosimo Vernengo classe ‘64, entrambi oggi tratti in arresto), al ferimento di Luigi Cona, soggetto legato al medesimo sodalizio pur non essendone organico.

Il controllo del territorio e il riconoscimento esterno dell’associazione

La famiglia mafiosa di Santa Maria di Gesù è stata in grado di esercitare a pieno il controllo del territorio, perpetrando con pervicacia la pratica dell’estorsione, senza che nessuna delle vittime abbia denunciato le imposizioni subite.
Del pari, il riconoscimento esterno dell’associazione è stato espresso anche da imprenditori che, in linea con la ricostruzione giurisprudenziale della figura dell’ “imprenditore colluso”, hanno fatto ricorso agli indagati al fine di ottenere la commissione di lavori presso terzi.
Ai minori livelli della famiglia, anche se talvolta accompagnati da soggetti di maggior peso criminale, era inoltre delegato anche l’esercizio della violenza necessario per esercitare il controllo sul territorio e, in tal senso, è stato documentato un pestaggio ai danni di un soggetto non identificato a cui partecipavano Giuseppe Tinnirello, Lorenzo Scarantino e Antonino Profeta, raggiunti poi da Francesco Pedalino.

Il ferreo rispetto delle regole di cosa nostra

Le intercettazioni, eseguite in luoghi considerati assolutamente sicuri dagli indagati, hanno inoltre consentito di avere cognizione del ferreo ed ortodosso rispetto delle regole di cosa nostra.

Salvatore Profeta e Giuseppe Natale Gambino si sono profusi in vere e proprie lezioni di mafia da impartire ai più giovani affiliati, con riferimento a regole di comportamento e di interrelazione gerarchica.

Proprio in occasione di un rimprovero mosso da Giuseppe Greco a Gambino, relativamente ad una estorsione affidatagli, le propalazioni utilizzate dal rimproverato per discolparsi hanno rappresentato il primo caso in cui indagati intercettati hanno esplicitato l’esistenza in termini di cosa nostra, peraltro invocandola come entità d’appartenenza di supremo e incondizionato rispetto e in ossequio alla quale l’affiliato mai avrebbe disatteso gli ordini ricevuti (“Quando parliamo di cosa nostra… parliamo di cosa nostra! Quando dobbiamo babbiare …babbiamo!”).

Il sostegno di detenuti e familiari e la gestione della cassa comune del sodalizio

La rigidità del dettame mafioso è estesa, nelle risultanze investigative, all’operoso sostentamento dei detenuti e dei familiari, in ossequio ad un dovere imprescindibile, a cui poter assolvere attraverso gli introiti provenienti dalle estorsioni.

Sono state in tal senso puntualmente documentate le dazioni di denaro in favore della coniuge di Carlo Greco, fratello di Giuseppe, storico capo mandamento attualmente detenuto all’ergastolo.

Le intercettazioni, infine, rivelavano l’esistenza di una cassa comune gestita per conto dell’intera famiglia; in merito è stato possibile documentarne il passaggio da Giuseppe Natale Gambino a Francesco Pedalino in seguito alla determinazione delle cariche e dei ruoli e, dopo l’arresto di Pedalino, a Pietro Cocco il quale provvedeva a registrare entrate e uscite e a custodire il denaro occultandolo.

Distruggono argini fiume Esaro coi cingolati, denunciati

Distruggono argini fiume Esaro coi cingolati, denunciati

I militari di Malvito, unitamente ai colleghi carabinieri-forestali di Fagnano Castello, al termine di una articolata attività info investigativa, hanno denunciato in stato di libertà alla Procura della Repubblica di Cosenza per reati in materia ambientale, deturpamento di bellezze naturali e furto aggravato, 4 persone, di cui tre amministratori di tre società operanti nel settore agricolo e movimento terra ed il proprietario di un terreno.

Le indagini, consistite in servizi di osservazione, acquisizione prove documentali, nonché testimonianze, hanno permesso di appurare che nel periodo intercorrente tra maggio 2016 e novembre 2017, i mezzi aziendali intestati alle citate società, hanno deturpato, a ridosso delle località Macchie del comune di Santa Caterina Albanese e località Pauciuri di Malvito, il corso del fiume Esaro, distruggendone gli argini al fine di creare una pista transitabile senza alcun tipo di autorizzazione.

Il continuo passaggio dei mezzi pesanti e cingolati ha causato una modifica sostanziale dell’alveo del fiume esaro sottoposto a vincolo paesaggistico, allo scopo di abbattere i costi di gestione dei lavori agricoli eseguiti dalle aziende indagate, siti tra il comune di Malvito e quello di Santa Caterina Albanese di cui il fiume ne costituisce confine naturale.

Inoltre, i carabinieri, hanno scoperto, che sulla sponda appartenente al comune di Santa Caterina Albanese, dall’ottobre 2017 sono stati eseguiti anche lavori di sbancamento, raccolta, trasporto e commercio degli inerti prelevati dal demanio fluviale, senza alcun tipo di autorizzazione e che venivano depositati con la complicità di un soggetto, già noto alle forze dell’ordine, all’interno di un terreno di sua proprietà.

Assegnata al comune di Cassano villa confiscata a un boss

Il Comune di Cassano allo Ionio
Il Comune di Cassano allo Ionio

Assegnata al Comune di Cassano allo Ionio la villa confiscata al boss della ‘ndrangheta Vincenzo Forastefano. Antonio Lavorato, per conto dell’Agenzia nazionale per i Beni confiscati, ha consegnato al sindaco, Gianni Papasso, il decreto di assegnazione e le chiavi della villa, confiscata nel 2010.

“Utilizzeremo questo bene – ha detto il sindaco Papasso – a scopo sociale perché ci accingiamo a presentare alla Regione la richiesta per realizzare un centro ‘Dopo di noi’, una struttura cioé dove accogliere i ragazzi ‘speciali’ portatori di handicap che restano soli dopo la morte dei genitori.

“Credo – ha concluso Papasso – che questa sia una grande azione in favore dell’intero territorio, la dimostrazione di un impegno sociale fortissimo, ma nello stesso tempo un’azione concreta contro la criminalità organizzata”.

Polemiche a Cosenza per il Mc Donald’s, la minoranza chiede lumi

mcdonalds cosenzaNegli spazi sotterranei del parcheggio di piazza Fera, presto sorgerà un Mc Donald’s, nota catena di fast food che nell’area urbana di Cosenza già conta tre esercizi, due a Rende, l’altro a Zumpano.

Lo prevede una delibera del comune dello scorso 15 novembre 2017 in cui la giunta a guida Occhiuto esprime il proprio gradimento, “in ordine all’inclusione, nell’ambito delle aree della pubblica struttura di Piazza Bilotti e relativi parcheggi interrati, di una area per ristorazione di tipo veloce “fast food”, nello specifico a marchio Mc Donald’s, secondo quanto richiesto dalla concessionaria Bilotti Parking srl, nonché alla relativa proposta progettuale costituente parte integrante e sostanziale del presente provvedimento…”.

Una delibera che ha fatto andare su tutte le furie l’opposizione in consiglio comunale che questa mattina, con alcuni di consiglieri di minoranza ha fatto richiesta di accesso agli atti per capire in base a quale sequenza procedurale si è proceduto a cambiare in parte destinazione d’uso degli spazi stabiliti nella convenzione con la Regione Calabria per la realizzazione di un museo con annessa ludoteca e zona bookshop.

“Stupisce infatti molto – spiega in una nota Bianca Rende (Pd), prima firmataria di una richiesta agli atti a palazzo dei Bruzi – leggere nella delibera numero 149 del 15/11/2017 che “la concessionaria ha richiesto un ridimensionamento degli specifici spazi previsti per ludoteca e book-shop, tenuto conto della ritenuta limitata domanda, a vantaggio delle altre aree funzionali, al fine di promuovere un incremento dell’attrattività dell’intero complesso pubblico di che trattasi…”.

“Immaginiamo anche, – prosegue – che per richiedere i fondi alla Regione Calabria sia stato sottoscritto uno studio di fattibilità economico-finanziaria che teneva conto anche della “domanda”.

“Come mai, si chiedono i consiglieri firmatari, in così poco tempo sono cambiate le condizioni tanto da stravolgere e ridurre gli spazi di un museo, penalizzando la cultura e anche la stessa piazza? Non siamo contrari alla realizzazione di un fast food ma, ci sembra eccessivo quest’inversione di “metratura” tra il museo e il Mc Donald’s”.

L’opposizione all’amministrazione Occhiuto chiede lumi anche se sia stata fatta una comunicazione ufficiale all’Ente regionale visto che i fondi stanziati attingevano ai PISU e quindi con destinazione vincolata.

“Vorremmo infine sapere – conclude la nota – se la Regione ha avuto notizia di questa modifica, autorizzandola, o se questo cambio parziale di destinazione d’uso è un’interpretazione “arbitraria” di un vincolo. Quella dei consiglieri di minoranza vuole essere un’azione di difesa della città, degli spazi pubblici ma anche dei commercianti, degli automobilisti, dei pedoni, e di quanti vivono Cosenza e vivono a Cosenza”.

Coppia sgozzata nel sonno, fermato il figlio 40enne

Massacra i genitori nel sonno, fermato Graziano AfratellanzaI carabinieri di Aversa e Casal di Principe, su mandato della procura di Napoli Nord, hanno fermato Graziano Afratellanza, 40 anni, ritenuto responsabile del duplice omicidio dei genitori Francesco Afratellanza, di 82 anni, e Antonietta Della Gatta (78), avvenuto nella notte tra domenica e lunedì in un appartamento di via Scipione l’Africano 18, a Parete, (Caserta).

A carico di Afratellanza – che subito dopo il crimine si era reso irreperibile ma dopo qualche ora rintracciato dai militari – sono stati raccolti gravi indizi di colpevolezza che hanno consentito l’emissione del provvedimento.

Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, la morte dei coniugi è avvenuta dopo diversi colpi inferti al collo con un coltello avente una lama di circa 15 centimetri. L’autopsia stabilirà con certezza quanti

L’aggressione omicidiaria si è consumata mentre marito e moglie dormivano. Il fermato, unico figlio convivente delle vittime, subito dopo il duplice omicidio si sarebbe allontanato con la propria vettura.

Nel corso delle indagini, i militari hanno rinvenuto un coltello compatibile con l’arma del delitto in una strada sterrata non distante dai fatti di sangue, lo stesso ipotetico percorso fatto dal presunto assassino nella fuga.

Al momento non è chiaro il movente per il quale il killer avrebbe ucciso i genitori. Gli inquirenti sono al lavoro per cercare di appurarlo.

Guasto all’Abatemarco, Cosenza e hinterland senz’acqua

Guasto all'Abatemarco, Cosenza e hinterland senz'acquaA causa di un guasto sull’impianto elettrico di sollevamento Nascejume dell’acquedotto Abatemarco, è da qualche ora in atto il fermo dell’apparecchiatura elettromeccanica con contestuale riduzione o interruzione alle utenze di Cosenza e diversi Comuni dell’hinterland.

Lo comunica la Sorical (Società risorse idriche calabresi), che contestualmente assicura che è già stata allertata l’impresa di manutenzione per la riparazione del guasto ed il riavvio dell’apparecchiatura elettromeccanica per il ripristino graduale delle forniture.

Accesso a Lamezia Terme, il sindaco non ci sta e fa sciopero della fame

Paolo Mascaro
Paolo Mascaro

Il sindaco di Lamezia Terme, Paolo Mascaro, ha iniziato stamattina lo sciopero della fame per chiedere di essere ascoltato “a chiarimento su qualsivoglia atto, provvedimento o comportamento che possa aver destato dubbi su possibili infiltrazioni o condizionamenti da parte della criminalità organizzata”.

Nei giorni scorsi la Commissione d’accesso antimafia ha concluso i lavori proponendo lo scioglimento del Comune per condizionamenti della criminalità dopo le inchieste della Dda che avrebbero svelato presunti rapporti tra le ‘ndrine e alcuni consiglieri.

L’attività del Sindaco, comunque, malgrado la protesta, non si è fermata. Stamattina, dopo avere espletato alcune questioni nel suo ufficio, Mascaro ha partecipato alla riunione della commissione consiliare che sta discutendo gli emendamenti al Psc.

“Io – ha detto Mascaro – proseguo nella mia attività di sindaco anche se da oggi ho iniziato lo sciopero della fame. L’attivita’ amministrativa deve andare avanti perché ho a cuore l’interesse della mia citta’ e dei lametini”.

Torna in libertà Nazzareno Salerno

Torna in libertà Nazzareno Salerno
Nazzareno Salerno

L’ex assessore nella passata Giunta regionale di centrodestra della Calabria Nazzareno Salerno ha lasciato gli arresti domiciliari ed è stato rimesso in libertà. Lo ha deciso il Tribunale del riesame di Catanzaro che ha accolto l’istanza presentata dagli avvocati Vincenzo Gennaro e Domenico Naccari.

Salerno, ex assessore al Lavoro di Forza Italia, era stato arrestato il 2 febbraio scorso nell’ambito dell’inchiesta “Robin Hood” coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. Dal 20 giugno era sottoposto al regime della detenzione domiciliare nella sua residenza a Serra San Bruno. É accusato di una presunta truffa nella gestione di fondi destinati dall’Unione Europea al sostegno del reddito di nuclei familiari indigenti ed in particolare di aver intascato una tangente di oltre 200 mila euro.

I reati ipotizzati, a vario titolo, nei confronti dei nove indagati coinvolti nell’inchiesta vanno dall’abuso d’ufficio alla corruzione, dall’estorsione aggravata dal metodo mafioso alla minaccia, dal peculato alla turbativa d’asta. Secondo l’accusa, soldi del progetto “Credito sociale”, portato avanti dalla Regione Calabria, sarebbero state deviati su conti correnti i cui intestatari erano imprese private. (Ansa)

Cosenza, controlli e sanzioni. Arrestato un giovane per evasione

Controlli Polizia CosenzaUn giovane cosentino di 21 anni, D. S., è stato arrestato dalla Squadra volante della Questura di Cosenza con l’accusa di evasione.

Nell’ambito di controlli di routine, gli agenti hanno bussato al campanello dell’abitazione del detenuto, sottoposto agli arresti domiciliari, ma non l’hanno trovato in casa. Da qui le ricerche fino al successivo rintraccio.

Condotto in questura, il giovane è stato nuovamente arrestato per questo nuovo reato di cui dovrà rispondere davanti all’autorità giudiziaria. Rischia l’aggravamento della misura dai domiciliari al carcere.

Inoltre, nell’ambito di servizi predisposti dal questore Giancarlo Conticchio, nel fine settimana a Cosenza e provincia sono stati intensificati i controlli con l’ausilio dei commissariati di pubblica sicurezza di Castrovillari, Paola, Rossano e delle sezioni Polfer e Polstrada provinciali.

Il bilancio è di ventisette posti di blocco, istituiti dalla Polizia per prevenire reati e condotte illegali su strada. 425 persone sono state controllate, 151 veicoli ispezionati, tra cui 7 sequestrati e 47 automobilisti multati per infrazioni al codice della strada.

Quindici automobilisti sono stati sanzionati perché sorpresi mentre parlavano al cellulare e al tempo stesso guidavano. Una condotta pericolosissima che è causa di distrazioni e di numerosi incidenti stradali.

Le norme attuali non puniscono severamente questo cattivo modus operandi, diffusissimo come quello di mettersi alla guida dopo aver bevuto o quello di guidare senza indossare le cintura di sicurezza, che per molti sono viste come un optional e non come un fattore salva vita.

Carlo Tavecchio si è dimesso dalla Figc: “Contro di me sciacallaggio”

Carlo Tavecchio si è dimesso dalla Figc: "Contro di me sciacallaggio"
Carlo Tavecchio a San Siro dopo la squalificazione dell’Italia contro la Svezia. (Ansa)

Il presidente della Federazione italiana gioco calcio (Figc), Carlo Tavecchio si è dimesso. Lo ha detto il presidente dell’Aia, Marcello Nicchi, uscendo dal consiglio federale. “Ambizioni e sciacallaggi politici hanno impedito di confrontarci sulle ragioni di questo risultato”. Le sue dimissioni seguono l’esonero di Gian Piero Ventura, ex ct della nazionale allontanato dopo la mancata qualificazione ai mondiali dell’Italia.

Nella ricerca delle responsabilità della grave crisi del calcio italiano dopo la mancata qualificazione al Mondiale, è questo – risulta all’Ansa – che Carlo Tavecchio ha detto oggi ai consiglieri della Figc prima di chiedere le dimissioni di tutto il consiglio, ovviamente a cominciare da se stesso. “Ho preso atto del cambiamento di atteggiamento di alcuni voi”, ha poi aggiunto ai consiglieri.

“Le dichiarazioni che si sono susseguite nelle ultime due ore – ha detto ai consiglieri federali Tavecchio – hanno impedito alle due Leghe maggiori di partecipare un dibattito che investe anche loro”. “Ho preso atto del cambiamento di atteggiamento da parte di alcuni partecipanti alla riunione di mercoledì – ha aggiunto, riferendosi al vertice con le componenti a 48 ore dalla debacle della nazionale – Nonostante il documento che mi hanno richiesto e condiviso, non sono disposti nemmeno a discuterlo”. A conclusione di queste considerazioni, Tavecchio ha chiesto “le dimissioni di tutto il consiglio, me per primo”.

Coppia massacrata a coltellate a Parete (Caserta). Sospetti sul figlio

carabinieri-ris-scientificaBrutale duplice omicidio nel casertano. I corpi senza vita di un’anziana coppia di coniugi sono stati rinvenuti massacrati a coltellate a Parete, centro in provincia di Caserta.

A fare la scoperta, intorno alle 9.30 di stamattina, i Carabinieri del posto e i colleghi del reparto territoriale di Aversa. I militari sono intervenuti in via Scipione l’Africano 18, trovando all’interno dell’abitazione, in un lago di sangue, i cadaveri di un uomo di 82 anni e di sua moglie di 79 anni, di cui al momento non è stata resa nota l’identità.

I corpi, riferisce l’Arma, presentano diverse ferite da arma da taglio al collo. Indagini sono in corso per risalire all’autore dell’efferato duplice omicidio. Secondo quanto trapela, il figlio di 40 anni è sospettato. L’uomo è sparito ed è attivamente ricercato. Sul posto anche il magistrato di turno e la scientifica per i rilievi del caso.

Arrestato al Cara di Isola un altro schiavista-torturatore di migranti

arresto squadra mobileCROTONE – La Polizia di Stato di Crotone, ha eseguito venerdì scorso un decreto di fermo emesso dalla Direzione distrettuale antimafia e antiterrorismo di Palermo, a carico di Giftè Deji, alias Sofi, nigeriano, di 21 anni, individuato e catturato presso il Centro i accoglienza Cara Sant’Anna di Isola di Capo Rizzuto.

La misura restrittiva è stata eseguita dalle Squadre mobili di Crotone e Agrigento, coordinate dal Servizio centrale operativo (Sco) di Roma.

Giftè Deji è sospettato di far parte di un’associazione per delinquere di carattere trasnazionale dedita a commettere più reati contro la persona – ed in particolare – tratta di persone, sequestro di persona, violenza sessuale, omicidio aggravato e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

In particolare, Deji Gift è stato riconosciuto come uno dei responsabili di torture e sevizie perpetrate in Libia all’interno della safehouse di “Alì il Libico”, dove i migranti, nelle more di intraprendere la traversata in mare per le coste italiane, venivano privati della libertà personale e torturati per estorcere loro denaro. Deji dapprima migrante, si sarebbe offerto di entrare a far parte del gruppo di criminali al fine di poter, in seguito, intraprendere gratuitamente la traversata verso l’Italia.

Il fermo di Giftè Deji è frutto dell’incessante attività investigativa posta in essere dalla Polizia di Stato, che sta ricostruendo l’intera cellula di criminali e torturatori che operavano in Libia all’interno del tristemente noto “Ghetto di Alì il Libico”.

I primi utili risultati investigativi dell’odierna indagine si sono avuti con l’individuazione ed il fermo, emesso dalla Dda di Palermo, di Sam Eric Ackom, ghanese, primo soggetto della cellula criminale indicato dalle vittime come il responsabile di gravissimi atti di violenza perpetrati all’interno del Ghetto di Alì il Libico; Ackom fu tratto in arresto dalla Squadra mobile di Agrigento lo scorso marzo.

Le pervicaci attività investigative, incardinate presso la Procura della Repubblica di Palermo, guidata da Francesco Lo Voi, e coordinate dai pm Marzia Sabella, Calogero Ferrara e Giorgia Spiri, hanno successivamente permesso di raccogliere validi elementi probatori a carico di John Ogais detto “Rambo”, nigeriano, 25 anni, individuato e catturato lo scorso giugno presso il Cara di Isola Capo Rizzuto dalla Squadra mobile di Crotone, unitamente ai colleghi di Agrigento

Ogais fu individuato come uno dei complici di Ackom e fermato su ordine della Dda di Palermo; a suo carico sono state già confermate le accuse da parte delle vittime davanti al Gip nel corso di un drammatico incidente probatorio.

Analogamente a quanto riferito da altri migranti, le odierne vittime così descrivono gli atti di violenza subiti da Deji Gift: “Ogais John detto Rambo, si avvaleva della collaborazione di un altro mio connazionale chiamato con il nome di Sofi, attualmente ospite presso il CDA di Capo Rizzuto. Quest’ultimo, in cambio di ottenere il viaggio gratuito verso l’Italia, si prestava più volte a torturare i migranti presenti all’interno del ghetto. Le violenze perpetrate dal Sofi consistevano nel colpire in diverse parti del corpo i migranti tenuti in ostaggio, con molta violenza, mediante l’utilizzo di una cintura in cuoio e/o tubi di gomma. Oltre a questi oggetti, ho visto più volte Sofi utilizzare sui prigionieri due cavi eletrtici collegati alla corrente elettrica come strumento di tortura”

Deji Giftè è stato associato alla casa circondariale di Catanzaro a disposizione della competente autorità giudiziaria.

Spari illegali in battuta di caccia, due arresti

Zimbabwe, uccisi due italiani in battuta di cacciaI carabinieri di Giffone, Reggio Calabria, hanno arrestato per detenzione illegale di armi Enrico Pensabene, operaio di 40 anni con precedenti e Fortunato Modafferi di 53, elettrauto incensurato, entrambi reggini, poiché hanno sorpreso il primo, senza averne legittimo titolo, detenere e sparare diversi colpi con un fucile del Modafferi.

I militari in servizio perlustrativo notavano i due uomini a bordo di un mezzo avvicinarsi in zona di caccia e decidevano di controllarli, appurando che solo uno dei due era titolare di porto d’armi.

Insospettiti, i Carabinieri hanno svolto un servizio di osservazione e hanno sorpreso Modafferi cedere l’arma a Pensabene per partecipare concretamente alla battuta di caccia, pur non avendone titolo.

Pensabene è stato quindi arrestato per il reato di porto illegale di arma comune da sparo ed il Modaferri tratto in arresto per l’impropria cessione dell’arma.

Il fucile è stato sottoposto a sequestro e i due uomini sono stati condotti presso le rispettive abitazione in regime di arresti domiciliari in attesa del rito direttissimo, come disposto dall’autorità giudiziaria.

Ladro entra in casa e proprietario lo spara, arrestata la vittima

carabinieriCAULONIA (REGGIO CALABRIA) – Ha fatto irruzione in piena notte in una casa armato di coltello per compiere un furto, ma il proprietario accortosi della sgradita intrusione ha preso il fucile e vedendosi minacciato ha sparato ferendolo per legittima difesa, ma i carabinieri hanno arrestato la vittima del tentato furto con l’accusa di tentato omicidio.

L’incredibile storia è successa a Caulonia, in provincia di Reggio Calabria, dove il proprietario di casa, un giovane di 23 anni, incensurato, era nell’appartamento con la moglie e i suoi figli di un anno e mezzo e sette mesi, quando il ladro, in piena notte, una volta forzata la porta d’ingresso, è entrato nell’appartamento armato di coltello. A quel punto, il capofamiglia impaurito che il malvivente potesse far del male alla sua famiglia ha imbracciato il fucile e ha sparato colpendo il malvivente alla spalla mentre questo si allontanava.

Segnalata l’aggressione al 112, i carabinieri sono giunti sul posto e hanno fatto trasportare l’aggressore ferito prima nell’ospedale di Locri e successivamente negli Ospedali riuniti di Reggio Calabria. Il ladro, di 28 anni, non è in pericolo di vita. Mentre la vittima dell’aggressione è stata arrestata con l’accusa di tentato omicidio.

Ballottaggio a Ostia, vince Giuliana Di Pillo, del M5S

Giuliana Di Pillo
Giuliana Di Pillo

Giuliana Di Pillo, del M5S è la nuova presidente del X municipio di Ostia, sciolto tempo fa per infiltrazioni mafiose. La pentastellata, nel ballottaggio di domenica, è stata eletta con il 60 percento dei voti staccando di venti punti l’avversaria di Fratelli d’Italia, Monica Picca. Scarsissima l’affluenza: alle urne solo il 33,6%, 3 punti in meno rispetto alla già bassa affluenza del primo turno di due settimane fa.

“È la vittoria di tutti i cittadini e della voglia di rinascita. Grazie di cuore!”, ha scritto Di Pillo su Twitter. Il sindaco di Roma Virginia Raggi, anche lei grillina, ha esultato: “I cittadini tornano protagonisti. Brava Giuliana! I romani sono con noi e per il cambiamento”. Per il candidato premier M5S Luigi Di Maio “l’effetto Raggi esiste ed è positivo”.

Ma la sconfitta del centrodestra ripropone la feroce polemica delle ultime settimane. La Picca sostiene che ai cinquestelle sono andati i voti degli Spada e di CasaPound: “All’idroscalo, dove sono rappresentati i voti di Casapound, noi abbiamo perso e loro hanno guadagnato circa mille voti”, afferma. Di certo le vicende traumatiche delle ultime settimane non hanno spinto i cittadini ad andare nelle 183 sezioni elettorali sorvegliate da 400 agenti in più del primo turno. L’affluenza cala di altri 2,5 punti.

Si suicida generale dei forestali: “Ho sensi di colpa per il Rigopiano”

suicidio Conti dopo tragedia Hotel Rigopiano
Operatori del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Spelologico CNSAS sul luogo del disastro all’hotel Rigopiano (archivio)

La vicenda dell’hotel Rigopiano compare sullo sfondo del suicidio del generale dei Carabinieri Forestali, Guido Conti, nelle campagne di Pacentro (L’Aquila) due giorni fa.

“Da quando è accaduta la tragedia di Rigopiano la mia vita è cambiata. Quelle vittime mi pesano come un macigno. Perché tra i tanti atti ci sono anche prescrizioni a mia firma. Non per l’albergo, di cui non so nulla, ma per l’edificazione del centro benessere. Vivo con cruccio”, aveva scritto Conti in una delle due lettere ai familiari il cui testo è stato pubblicato su diversi organi di stampa.

“Stupisce che questa correlazione sia stata da taluno ipotizzata in assenza di qualsiasi collegamento diretto e indiretto. Tutto ciò aggiunge dolore al dolore”, dice un familiare di Conti. Camera ardente aperta nella sala d’udienze del tribunale di Sulmona. Lunedì 20 novembre i funerali alla presenza dei vertici dei Carabinieri che lo hanno ricordato con commozione nella “Virgo Fidelis” Abruzzo e Molise.

Crotone Genoa 0-1, decide Rigoni. Buon esordio di Ballardini

Luca rigoni segna a Crotone
I calciatori del Genoa esultano dopo goal di Luca Rigoni a Crotone (Ansa)

Il Genoa ha battuto il Crotone allo Scida per 1-0 grazie a un gol di Rigoni all’11/mo del primo tempo. Inizia con una vittoria convincente l’avventura di Davide Ballardini sulla panchina del Genoa. Una squadra cambiata nel modulo rispetto a quella di Juric e che ha saputo mettere in campo la sua maggiore qualità rispetto ad un Crotone apparso involuto mentalmente e fisicamente.

Il nuovo tecnico genoano parte con un 3-5-2, con Veloso e Zukanovic a fare da schermo alla difesa. Il Crotone, con l’unica novità di Martella in campo al posto di Pavlovic, schiera un 4-4-2 che però non punge.

Il Genoa mette in imbarazzo il Crotone sulle fasce. Laxalt sfonda a suo piacimento sulla sinistra, Rosi è un treno sulla destra. Sampirisi e Martella si trovano costantemente in difficoltà. La rete che consentirà al Genoa di portare a casa la vittoria arriva al 11′ del pt con un’azione sulla fascia sinistra dalla quale Laxalt fa partire un cross ben calibrato sul quale si avventa come un fulmine Rigoni, sorprendendo i difensori del Crotone alle spalle ed insacca di testa da distanza ravvicinata.

Tabellino

CROTONE: Cordaz; Sampirisi (82’ Simy), Simic, Ceccherini, Martella (61’ Rohden); Nalini, Barberis, Mandragora, Stoian (73’ Tonev); Budimir, Trotta. A disp.: Festa (GK), Viscovo (GK), Aristoteles, Izco, Suljic, Faraoni, Cabrera, Ajeti. All. Nicola

GENOA: Perin; Izzo, Spolli, Zukanovic; Rosi, Rigoni, Veloso (78’ Cofie), Bertolacci, Laxalt; Pandev (61’ Galabinov), Taarabt (88’ Centurion). A disp.: Lamanna (GK), Zima (GK), Gentiletti, Lapadula, Rossettini, Biraschi, Palladino, Lazovic, Omeonga. All. Ballardini

Arbitro: Tagliavento di Terni
Reti: 11’ Rigoni (G)
Ammoniti: Spolli (G), Stoian (C), Rigoni (G)

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