“Arrestatemi, non ce la facevo più a nascondermi”. E’ quanto ha detto Vincenzo Morso, 60 anni, quando si è costituito questa mattina presso il commissariato di Chiavari dopo due settimane di latitanza dall’omicidio di Davide Di Maria, ucciso nella propria abitazione a Genova.
L’uomo, ritenuto il referente della mafia di Gela, ha ammesso agli uomini della squadra mobile di essere arrivato nell’appartamento di Genova Molassana con una pistola semiautomatica Bernardelli 7.65 ma di non avere sparato perché subito sarebbe stato aggredito da Marco N’Daye, il senegalese di 30 anni amico della vittima e arrestato la settimana scorsa per detenzione di arma clandestina.
Morso, difeso dall’avvocato Mario Iavicoli, è stato arrestato per detenzione e porto abusivo di arma clandestina mentre è indagato per omicidio in concorso. Gli investigatori, coordinati dal pm Silvio Franz, stanno adesso ricostruendo gli spostamenti di Morso e la rete di eventuali fiancheggiatori che lo hanno aiutato in queste due settimane di latitanza.
Secondo gli inquirenti, Di Maria e i suoi due amici N’Daye e Cristian Beron, colombiano presente nell’appartamento di Molassana ma non arrestato, avevano un debito di droga con Guido Morso. I tre avrebbero attirato l’uomo in una trappola per aggredirlo ma la presenza del padre avrebbe mandato all’aria i loro piani. Sarebbe nata una lite violentissima tra i cinque.
N’Daye avrebbe aggredito Vincenzo facendogli cadere la pistola, mentre Guido avrebbe prima sparato a vuoto contro di Maria e poi lo avrebbe colpito al petto con un coltello. Padre e figlio erano poi scappati a bordo di una macchina e uno scooter.
Il giovane Morso si era costituito il giorno dopo l’omicidio confessando di avere ucciso di Maria, mentre il padre è riuscito a fare perdere le proprie tracce per due settimane. (ANSA).