E’ tragico il bilancio dell’attentato ad Ankara. Secondo Selahattin Demirtas – uno dei due leader pro curdi – il numero dei morti è di 128 morti e oltre 500 feriti . Il bilancio è ancora provvisorio. “Purtroppo abbiamo perso 128 nostri compagni”, ha detto. “Noi non agiremo per vendetta, ma staneremo i responsabili e chiederemo loro conto”, del crimine che hanno commesso.
Una manifestazione per la pace si è trasformata in una carneficina terroristica ad Ankara, in Turchia, dove almeno due esplosioni hanno causato 97 morti e duecento feriti, di cui alcuni molto gravi.
Le detonazioni sono state concentrate vicino la stazione di Ankara, da dove sarebbe dovuto partire un corteo pacifista in cui si chiedeva la fine delle ostilità con il Pkk curdo. Tutto questo a tre settimane dalle elezioni politiche. Nessun dubbio sulla matrice terroristica del sanguinoso attacco. Non è esclusa la pista delle fazioni vicine al califfato dell’Isis. Forse si tratta di kamikaze nella folla. Alcuni media turchi sostengono possa trattarsi di autobombe.
Il ministero dell’Interno turco l’ha definito un “attacco alla pace e alla democrazia in Turchia”. Indagini sono state avviate per chiarire se sia trattato di un attentato kamikaze, come suggerito da alcuni media e ipotizzato da Kemal Kilicdaroglu, leader del principale partito di opposizione, il socialdemocratico Chp.
VIDEO DELL’ESPLOSIONE AD ANKARA E IL DRAMMA DEI FERITI
Il premier turco Ahmet Davutoglu ha subito convocato una riunione d’emergenza sulla sicurezza, mentre i principali leader politici hanno interrotto la loro campagna elettorale per recarsi sul luogo dell’attacco.
La manifestazione per la pace è stata annullata e gli organizzatori hanno chiesto ai partecipanti e a quelli che stavano arrivando da altre città di tornare a casa nel timore di nuovi attentati.
“Stiamo assistendo a un enorme massacro. È una continuazione di quelli di Diyarbakir e Suruc”, ha denunciato il leader del partito filo-curdo Hdp, Selahattin Demirtas, riferendosi all’attentato a un suo comizio a Diyarbakir alla vigilia del voto di giugno, in cui morirono 2 persone, e a quello del 20 luglio a Suruc, con 33 attivisti diretti a Kobane uccisi da un kamikaze dell’Isis.