Seduti faccia a faccia nella Basilica di San Pietro un po’ prima che iniziassero le esequie di Papa Francesco. Su due sedie adagiate sui marmi della Basilica i protagonisti sono Donald Trump e Volodymyr Zelensky, leader Usa e ucraino, immortalati in una foto che ha fatto il giro del mondo e che rimarrà negli annali di storia. I due hanno parlato, brevemente, dei negoziati di pace, nel segno della volontà del Pontefice scomparso che tanto desiderava il cessate il fuoco permanente non solo in Ucraina, ma anche a Gaza e in altre parti del globo.
Non è trapelato molto della conversazione tra i due, ma il solo scatto dei due in Vaticano è altamente simbolico e vale molto più di mille parole. Certo avranno parlato dei negoziati con Putin, con il Cremlino che ha fatto sapere, a stretto giro, che la Russia è pronta a discuterne “senza precondizioni”.
Un incontro cui sono stati esclusi i “volenterosi” bellicisti Ue di Starmer, Macron e von der Leyen, che pure si sono fatti vedere all’interno della Basilica senza però partecipare all’incontro diretto tra Trump e Zelensky (nel video sopra si vede come Macron sia stato di fatto tenuto fuori da Trump che voleva soltanto parlare a tu per tu con l’ucraino, nda); incontro evidentemente molto più pacato e “cordiale” dell’ultimo meeting di due mesi fa alla Casa Bianca in cui il leader ucraino ha fatto infuriare il padrone di casa che lo ha accompagnato alla porta dicendogli “torna quando sei pronto a discutere di pace”.
“Ottimo incontro. Abbiamo discusso a lungo a tu per tu. Speriamo in risultati concreti su tutto ciò che abbiamo trattato. Proteggere la vita del nostro popolo. Un cessate il fuoco completo e incondizionato. Una pace affidabile e duratura che impedisca lo scoppio di un’altra guerra. Un incontro molto simbolico che ha il potenziale per diventare storico, se raggiungeremo risultati congiunti. Grazie @POTUS”, ha scritto Zelensky su X dopo l’incontro citando il nome in codice del presidente americano.
Good meeting. We discussed a lot one on one. Hoping for results on everything we covered. Protecting lives of our people. Full and unconditional ceasefire. Reliable and lasting peace that will prevent another war from breaking out. Very symbolic meeting that has potential to… pic.twitter.com/q4ZhVXCjw0
— Volodymyr Zelenskyy / Володимир Зеленський (@ZelenskyyUa) April 26, 2025
Un faccia a faccia, quello di oggi, che tutti sperano, come auspicava Papa Francesco, possa portare ad una pace duratura tra la devastata Ucraina e la Russia. “E’ stato tutto concordato”, fanno sapere le parti sui social media.
Sul tavolo delle trattative sempre le stesse questioni, magari con qualche piccola sfumatura [che non modifica la sostanza tra vincitori (Mosca) e vinti (Kiev)]. Su tutti le terre rare e i minerali che tanto interessano a Trump per far recuperare agli Usa i 350 miliardi di dollari inviati dall’amministrazione Biden a Kiev e la cessione dei territori conquistati da Mosca sul campo di battaglia in questi tre anni di conflitto, ossia le regioni del Donbass russofono e indipendente. Sulla Crimea c’è poco da dire: una penisola anch’essa popolata da russofoni “regalata” dall’Urss di Krushov all’Ucraina nel 1954, che Putin ha deciso di riprendersi annettendola nel 2014. Lo stesso Trump lo ha riconosciuto: “La Crimea è russa”, nonostante Zelensky (spinto anche da partner Ue) adesso punta i piedi su una questione che non è stata mai sollevata in undici anni.
Mosca insiste anche sulle cause principali che hanno portato al conflitto: smilitarizzare e denazificare l’Ucraina – ormai sconfitta in guerra e totalmente devastata -, e la non adesione di Kiev alla Nato, che renderebbe il vicino della Russia un paese ‘cuscinetto’ del tutto neutrale. Questo dopo che l’occidente a egemonia statunitense ha deciso via via di espandere la Nato (il braccio militare di Washington e dei suoi paesi satelliti), sempre più a est arrivando di fatto nel “cortile” russo quando, invero, a fine Guerra Fredda, sciolto il Patto di Varsavia, i leader del tempo avevano assicurato che l’organizzazione militare non si sarebbe estesa di un pollice verso oriente mantenendo i confini stabiliti a Yalta a fine Seconda guerra mondiale. Uno status, quello attuale, inaccettabile per Putin che ha visto messa in pericolo l’esistenza stessa del suo paese “continente”, che era e resta la più grande potenza nucleare al mondo.