9 Dicembre 2024

Inchiesta Covid, archiviate le posizioni del governatore Fontana e altri

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Il tribunale dei ministri di Brescia ha archiviato la posizione del presidente della Lombardia, Attilio Fontana, nell’ambito dell’inchiesta della procura di Bergamo sulla gestione della prima fase della pandemia da Covid. Era stata la stessa procura di Brescia, guidata da Francesco Prete, a chiedere nei giorni scorsi l’archiviazione di Fontana, dell’ex assessore lombardo al Welfare Giulio Gallera e degli altri undici indagati, tra cui diversi tecnici romani. Le posizioni dell’ex premier Giuseppe Conte e dell’ex ministro della Salute Roberto Speranza sono già state definitivamente archiviate lo scorso giugno.

“Una ventata di verità, per me e per chi con me ha lottato in prima linea contro il Covid”, scrive Fontana su Facebook.

“Su questa indagine una certa parte politica ha costruito per anni una campagna di vero e proprio odio contro la Lombardia e contro il nostro operato. Nelle pagine della sentenza di archiviazione – prosegue Fontana – vedo smontate molte delle troppe bufale costruite ad arte su quei mesi drammatici che hanno sconvolto le nostre comunità e provocato un immenso dolore a tante famiglie”.

FONTANA, PERCHE’ SCATTA L’ARCHIVIAZIONE
“La contestazione al presidente della Regione Lombardia di non aver introdotto la zona rossa nei comuni di Nembro e Alzano è, anche astrattamente, infondata”. Lo scrive il collegio speciale del tribunale dei Ministri di Brescia, presieduto dalla giudice Mariarosa Pipponzi, nell’ordinanza di 34 pagine con cui archivia le posizioni di Fontana, Gallera e di altre 12 persone.

Con contagi sparsi in regioni diverse, come nel caso della “situazione epidemiologica presente nel periodo contestato al presidente Fontana”, la competenza per l’istituzione della zona rossa “era, in prima battuta, del presidente del Consiglio”, scrivono i giudici, sottolineando poi che “in ogni caso, comunque, la Regione, salvi casi eccezionali, non avrebbe potuto adottare tali provvedimenti senza confrontarsi con il governo, dovendo simili misure essere inquadrate nell’ambito di una gestione dell’epidemia unitaria e non frammentaria ed episodica”.

I giudici ricordano inoltre che “l’istituzione di una zona rossa, per sua natura, incide e comprime diritti costituzionalmente garantiti” e ha “ricadute gravissime in termini di occupazione, di crisi sociale e di produzione del Pil nazionale. Si tratta quindi di valutazioni che, per la loro gravità, non è esigibile e neppure auspicabile che vengano assunte senza un’adeguata ponderazione dei dati di conoscenza acquisiti, del loro grado di certezza e delle conseguenze derivanti dall’istituzione di una zona rossa”. E “nei giorni in cui viene formalmente contestata un’omissione al presidente della Regione Lombardia persisteva un grado di incertezza non trascurabile sul livello di infettività del virus”.

A Fontana la procura di Bergamo contestava anche “di non aver segnalato con le mail del 27 e 28 febbraio 2020, la situazione di criticità relativa alla diffusione del contagio nei comuni della Val Seriana e di non aver richiesto ulteriori misure di contenimento rispetto a quelle in essere di cui, invece, chiedeva la conferma”. Anche in questo caso dal momento che “il 28 febbraio 2020, la segreteria del presidente della Regione Lombardia inviava al governo, ai ministeri dello Sviluppo economico e dell’Interno, nonché al commissario Borrelli, una nota alla quale era allegato un report contenente l’andamento epidemiologico al 28 febbraio 2020” i giudici del tribunale dei Ministri di Brescia concludono che “il presidente della Regione Lombardia, alla luce dei dati conosciuti e conoscibili, ha operato nel solco di quanto previsto dal decreto-legge n. 6 del 2020 e ha correttamente fornito al governo i dati a sua disposizione e pertanto la notizia di reato è, anche sotto questo profilo, infondata”.

Per il tribunale dei ministri di Brescia, sarebbe una “congettura priva di basi scientifiche” l’ipotesi di omicidio colposo contestata dalla procura di Bergamo.

“Manca del tutto la prova che le 57 persone, che sarebbero morte per la mancata estensione della zona rossa, rientrino tra le 4.148 morti in eccesso che non ci sarebbero stati se fosse stata attivata la zona rossa”, scrive il collegio speciale, presieduto dalla giudice Mariarosa Pipponzi, nelle 34 pagine di ordinanza di archiviazione. Nemmeno il prof. Crisanti, nel suo studio teorico su quanto accaduto nella Bergamasca all’inizio dell’emergenza pandemica – “è stato in grado di rispondere circa il nesso di causa tra la mancata attivazione della zona rossa e la morte di persone determinate”.

Per questo – sottolineano i giudici – “la contestazione dell’omicidio colposo in relazione alla morte delle persone indicate in imputazione si basa quindi su una mera ipotesi teorica sfornita del ben che minimo riscontro”, dal momento che “la possibilità di contrarre il virus tramite contatti con persone infette non è mai stata esclusa neppure all’interno delle zone rosse”.

Il tribunale dei ministri non ravvede neanche un nesso tra le condotte contestate a Fontana e ad altri (come la mancata proposta al governo di istituzione della zona rossa, l’estensione della sorveglianza ai voli indiretti dalla Cina, la mancata verifica della dotazione dei Dpi, il censimento dei reparti di malattie infettive solo a partire dal 24 febbraio 2020 e la mancata verifica della formazione del personale sanitario) e la morte delle 57 persone e da questo punto di vista sottolinea che l’ipotesi di omicidio colposo “non è supportata neppure dalla consulenza Crisanti e si riduce a nulla più che a una congettura priva di basi scientifiche”.

Per quanto riguarda l’ipotesi di reato di “epidemia colposa in forma omissiva non è configurabile” secondo i giudici, perché “in questione abbraccia la sola condotta di chi per dolo o per colpa diffonde germi patogeni”. Inoltre, “data la natura stessa della pandemia da Sars-CoV-2, che ha coinvolto l’intera umanità, sarebbe comunque irrealistico ipotizzare che la stessa sia stata cagionata, anche solo a livello nazionale o regionale, da asserite condotte omissive”, come quelle contestate a Fontana, Gallera e gli altri. Per i giudici “la dimostrazione empirica, ma inconfutabile, di tale assunto è data dal fatto tutti i Paesi sono stati colpiti dalla pandemia – sia quelli che hanno adottato misure più restrittive, tra cui l’Italia, sia quelli che hanno adottato misure meno restrittive – e quindi è un non senso affermare che, se fossero state adottate le misure asseritamente omesse, l’epidemia non si sarebbe verificata”.

Fonte:Adnkronos

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